Undici anni fa usciva
“Violent Revolution”, l’album che segnò il ritorno dei
Kreator a sonorità più prettamente thrash, senza perdere di vista l’aspetto melodico, dopo la svolta sperimentale degli anni precedenti.
Da allora ad oggi, un paio di full length e un paio di album, ma soprattutto centinaia di concerti in giro per il mondo, hanno tenuto vivo il nome della band e soprattutto hanno mantenuto in ottima forma Mille e soci, consolidando enormemente l’affiatamento e l’amalgama della formazione, peraltro, e non a caso, stabile proprio da quell’album…
Qualche mese fa vidi in anteprima la copertina del nuovo
“Phantom Antichrist”, e a naso ho subito pensato che questa volta i tedeschi avrebbero tirato fuori un discone. Sarà stato per il sapore fortemente retrò della cover, sarà stato istinto, ma questa è stata la mia prima impressione… Quando subito dopo fu resa disponibile in streaming proprio la titletrack, i miei presagi trovarono conferma, vista la bontà e la violenza del pezzo in questione. A quel punto non restava altro da fare che ascoltare l’album intero per capire se si fosse trattato di un episodio isolato o se anche il resto delle canzoni si sarebbe mantenuto sullo stesso ottimo livello.
Beh, dopo ripetuti ascolti, devo dire che le aspettative sono state ampiamente rispettate… Non stiamo ovviamente parlando di un capolavoro, ma di un ottimo disco certamente sì. E non è un caso che abbia citato
“Violent Revolution” in apertura di recensione, perché questo
“Phantom Antichrist” sembra assolutamente il suo naturale successore, e non solo perché la doppietta iniziale
“Mars Mantra/Phantom Antichrist” ricorda maledettamente
“The Patriarch/Violent Revolution”, ma anche, e soprattutto, per quella capacità di unire violenza pura a melodie e armonizzazioni vincenti.
Sulle capacità compositive di Petrozza e soci penso ci sia poco da dire… L’unica incognita, ogni volta che esce un loro nuovo disco, riguarda la direzione musicale che il singer/chitarrista/tuttofare intende intraprendere. “
Phantom Antichrist” è stato scritto per accontentare gli amanti del thrash teutonico, senza però scordarsi che siamo nel 2012, i tempi sono cambiati, l’età è quella che è, e non avrebbe avuto senso tirare fuori un nuovo
“Pleasure to Kill”. E fortunatamente Mille ha anche capito che la sua band è una ferale macchina da guerra thrash, quindi ha tolto di mezzo tutte le sperimentazioni di fine anni ’90 per dedicarsi a quello che sa fare meglio: tritare le ossa. Ma con gusto e classe…
Sì, perché gli spunti melodici, e a volte addirittura epici (
“The few, the proud, the broken”), sono frequenti e vanno a stemperare la furia dei momenti più tirati, creando un dualismo che rende il tutto più vario e completo. Certo qualche passo falso c’è (
“Tour Heaven, my Hell”), per questo dicevo che non si può parlare di capolavoro, ma è altrettanto vero che ci sono brani ispiratissimi, oltre la titletrack.
Basta ascoltare, ad esempio,
“Death to the world”, varia, potente, dinamica, per capire che i
Kreator sono decisamente lontani dal declino compositivo. Oppure
“Civilization collapse”, per non parlare di
“From flood into fire”, forse il brano più anomalo, ma anche più interessante, dell’album.
Certo, se siete intransigenti storcerete il naso di fronte all’enorme mole di melodia presente nel disco (sempre controllata, sia chiaro). Se invece avete apprezzato l’evoluzione stilistica di Petrozza apprezzerete senza dubbio anche
“Phantom Antichrist”, un album maturo e completo, che conferma i
Kreator all’apice della scena thrash tedesca, ed europea in generale…