Non è la prima volta che le strade degli statunitensi
Whitechapel e del vostro
Coroner si incrociano: ebbi infatti modo di recensire il disco d'esordio "The Somatic Defilement" nel 2007 ed oggi, a cinque anni di distanza, è arrivato il turno di
"Whitechapel". La band continua a proporre il deathcore che tanto sembra spopolare tra le nuove leve metalliche e soprattutto al di là dell'Atlantico, forte dell'apporto di ben tre (!!) chitarre che effettivamente sono capaci di costruire un bel muro di suono, aiutate pure dalle accordature ribassate. I Whitechapel propongono brani senza troppi fronzoli, non troppo lunghi e con limitati inserti melodici e solisti delle chitarre, e puntano maggiormente sull'impatto delle canzoni e su braek spezzacollo per rimanere fedeli ai diktat deathcore. Una formula ampiamente testata e colladauta non solo dal gruppo, ma da innumerevoli formazioni che si cimentano nel genere. Ottima la prestazione dietro al microfono Phil Bozeman, che da sfoggio del suo growl risparmiandoci acuti in screaming che flagellano questo già inflazionato genere od aperture melodiche con clean vocals, mentre alle sue spalle la band viaggia sicura e potente. Peccato però che le canzoni non abbiano un'anima e non riescano a trasmettere nulla, tant'è che dopo i 38 minuti di "Whitechapel" si rimane con un pugno di mosche in mano, vista la totale asetticità della proposta: sfido chiunque a nominare un pezzo della tracklist che vi abbia fatto sobbalzare dalla sedia.
Non saremo quindi ai livelli del 4 che affibbiai a "The Somatic Defilement", ma certo questa nuova fatica dei Whitechapel si perderà nella miriade di uscite del genere e farà felici solamente i fan più sfegatati del deathcore e di questa band a stelle e strisce.
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