Che classe! E' proprio vero che certi prodotti migliorano invecchiando e se la classe cristallina che contraddistingue da sempre gli Aerosmith è rimasta intatta, è altrettanto vero che - escluso il mezzo passo falso del precedente "Just Push Play" - i cinque rocker americani hanno sfornato una sequela di album memorabili in una progressione straordinaria; raramente deludenti in studio, mai dal vivo - dove esprimono una carica che alla loro età forse solo i Rolling Stones possono vantare - ritroviamo oggi Tyler e compagnia alle prese con le radici del rock: Honkin' On Bobo è basato infatti su 11 cover di brani blues molto noti e un inedito ("The Grind"). Dopo i successoni riscossi con grandi ballad (vedi la colonna sonora di Armageddon) e canzoni assolutamente moderne e molto trendy - termine da intendere nella sua accezione primaria - tutti si sarebbero aspettati un album che potesse avere gli ingredienti per far breccia nella massa giovanile di MTV; e invece loro scelgono un'altra strada, più difficile e rischiosa, si permettono il lusso (e se lo possono permettere) di sfornare un prodotto assolutamente atipico e privo di pretese commerciali riuscendo alla grande e conferendo brillantezza e grinta alle composizioni eseguite. Gli Aerosmith non hanno scelto 11 canzoni per suonarle semplicemente sul loro album; le hanno rivissute, le hanno reinterpretate e hanno saputo intridere ogni nota di quel feeling che solo i grandi possiedono tanto che ogni composizione trasuda passione ed è permeata da quello spirito tipico del rock'n blues, padre putativo di mille altri generi venuti solo successivamente, tra cui anche l'heavy metal. Si apre con una scatenata "Road Runner" di Bo Diddley, canzone dalla melodia blues che denota lo stato di grazia dell'ugola immortale di Tyler; ancora da segnalare la stupenda "Shame shame shame"di Jimmy Reed e la coinvolgente "Baby, please don't go" di Big Joe Williams, orecchiabile e sporca al punto giusto. Segue la ballata blues "Never loved a girl" di Aretha Franklin, il cui titolo originale ("Never loved a man") è stato modificato per ovvie ragioni sessuali; le tracce scorrono veloci, fluiscono senza accorgersene e si arriva alla traccia inedita, "The Grind", bellissima, raffinata semi ballad di sofferto blues - almeno in un primo momento - che sfocia in un ritornello melodico e catchy. In realtà una menzione la meriterebbero tutte le splendide canzoni contenute in "Honkin' On Bobo", ma a mio parere sarebbe futile dal momento che il valore complessivo del disco è altissimo e principalmente per due motivi: in primo luogo con questa mossa gli Aerosmith faranno conoscere - o quanto meno dovrebbero diffondere - a molti ragazzi quelle che sono le vere radici del rock, quello puro e sanguigno, bagnato di sudore e caricato del peso di sacrifici e sofferenze, un rock che proprio da queste radici negative trae la sua anima vitale e positiva; in secondo luogo tributano con classe ed eleganza tutte le loro influenze giovanili che li hanno accompagnati lungo tutto il corso della loro carriera. Dopo trentuno anni dall'esordio sentire una band ancora così viva e accalorata non può che fare piacere; acquisto obbligato per tutti gli amanti del rock, ma anche a chi vuole scoprire le fascinose sonorità che hanno reso grande questo genere.