Anche questa recensione era rimasta secretata nel sottoscala della vecchia redazione di
Metal.it 1.0.
"Calling the Wild", è il settimo album solista di
Doro Pesch dopo la sua uscita dai Warlock, un lavoro che alterna luci e ombre... da segnalare però la presenza, tra i tanti special guest, di Lemmy ...
[ ... Non molto tempo fa, sul tribute album dedicato a R. J. Dio, ho avuto la possibilità di ascoltare "Egypt (The Chains Are On)" interpretata da
Doro, artista che avevo perso di vista con il suo progressivo allontanarsi dal Metal verso lidi più abbordabili. La cantante tedesca aveva, infatti, iniziato nei power/speed Warlock, che debuttarono nel 1984 con "Burning the Witches", band che dopo varie vicissitudini finì con lo sciogliersi allorquando
Doro decise di cercar fortuna negli States. Qui, abbandonando il metal anthemico e potente che le aveva portato fortuna, iniziava una carriera solista, dedicandosi a suoni decisamente easy listening e rivolti al mercato americano.
A questo punto sorge spontanea una domanda, la presenza in un contesto Power, come il tributo succitato, prelude ad un ritorno di fiamma verso il metal classico? Si accettano scommesse... devo fare il recensore e non il bookmaker?
OK!! Dunque, "
Call of the Wild" non rappresenta un ritorno al passato, anzi strizza un occhio a soluzioni più moderne. Ma dai tempi che furono ecco "
Love Me Forever" (da "1916" dei Motorhead) bella già nella versione originale e qui molto ben interpretata da
Doro, affiancata dallo stesso
Lemmy (duetto che si ripete su "
Alone Again", inclusa solo nella versione limited). "
Love Me ..." ha anche la fortuna di avere due guest del calibro di
Eric Singer e
Bob Kulick, che danno ancor maggior risalto al pezzo. Altro recupero la cover di "
White Wedding", il brano di Billy Idol è ripreso alla grande, reinterpretato con personalità e potenza, con ottimi risultati. Come d'abitudine
Doro si propone in brani cantati in tedesco, ma "
Ich Will Alles" e "
Danke" non sono nulla di particolare, soprattutto il primo "simil industriale".
Si fa notare invece l'anthemica "
Burn It Up", inno dei Rhinefire, team di football americano di Dusseldorf, anche se non arriva ai livelli dalla storica "All We Are". Trai numerosi brani presenti spiccano la grintosa "
Dedication (I Give My Blood)" e l'ammaliante ballad "
Give Me Your Reason", dove la classe viene fuori, lo stesso non si può dire delle scialbe "
Scarred" e "
Constant Danger". Avvicinabile allo stile di Pat Benatar la catchy "
Who You Love", con Al Pitrelli alla slide guitar. Slash appare invece su "
Now Or Never" un brano scattante e vivace, molto più della sonnolenta "
Black Rose" che lo precede.
Un album altalenante, la cui resa complessiva è compromessa proprio dalla presenza di troppi brani non all'altezza.
... ]
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