Quando la comunicazione arriva dritta al “bersaglio”, quando chi ne fruisce riesce ad intenderne il “messaggio”, e questo indipendentemente dai codici che vengono utilizzati e dalle loro eventuali complessità
semantiche, ebbene, solo allora si può parlare di una forma espressiva vera, matura, riuscita.
Lo scopo dei
Profusion e del loro secondo albo dal titolo squisitamente palindromo “RewoTower” (adoro queste cose …) è di dimostrare che tanti diversi linguaggi sonori possono finire per essere convogliati in una percezione comunicativa raffinata, vigorosa, colta e lirica, ma sempre straordinariamente intelligibile, in una compressione di suoni, stimoli e suggestioni che, nonostante l’evidente perizia specialistica, si manifesta in tangibile antitesi con qualsiasi tendenza puramente virtuosistica.
L’immagine (speculare) della “Torre”, in cui le composizioni rappresentano i singoli piani, appare, dunque funzionale a questo elettrizzante saliscendi emotivo tra
rock,
metal,
pop, musica latina e bagliori mediorientali, alimentati da quell’attitudine alla
progressiva e illuminata
fusione stilistica che del resto è essenza stessa del gruppo senese fin dalla “elisione” scelta per il suo
monicker.
Cinquantacinque minuti di ottima musica, dunque, che solo raramente scade in qualche piccola verbosità tipica del genere e che ostenta una capacità di coinvolgimento davvero preziosa sia quando avvolge l’astante con melodie affabili ed energiche (“Ghost house”), quando lo “tocca” nel profondo con la flessibilità e la straordinaria intensità di prospettive ad elevato coefficiente emozionale (“Taste of colours”, “Turned to gold”), e sia quando riesce a “sorprenderlo” con soluzioni armoniche leggermente più “insolite” (Dream Theater, Disturbed e Tribe After Tribe convocati contemporaneamente sulla tolda del veliero in rotta per la fantomatica “Treasure island”, la perla
pop-latin-fusion “So close but alone” o ancora le inebrianti fragranze
tribal-esotiche di “Tkeshi” / Chuta chani”, che potrebbero finire per piacere pure agli estimatori Myrath e Orphaned Land), ma anche chi ama le evoluzioni maggiormente caratteristiche del settore di appartenenza tra questi solchi troverà sicuramente di che compiacersi (“The tower “, “Dedalus falling”), per una forma di divulgazione artistica in grado di “arrivare” priva di particolari intromissioni e vincoli ad una porzione
ampia e pur
esigente di
progofili.
Rilevando, tra le eccellenze incontrovertibili della
line-up, il temperamento vocale di Luca Latini in un universo canoro sempre più omologato, non posso che consigliare la visita ai vari livelli di questa
Torre, un luogo dove c’è ancora spazio per l’immaginazione, le sensazioni intense e la poesia.
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