Si può suonare oggi dell’hard/doom rock ’70 profumato di NWOBHM, ed essere perfettamente credibili? Sì, se vi chiamate
Pagan Altar e vi siete formati nel 1976, pubblicando in tutta la prima fase di carriera una sola musicassetta autoprodotta e venduta direttamente ai concerti della band.
Questa formazione, nata per iniziativa dei fratelli Alan e Terry Jones, è stata una delle primissime, con i Witchfinder General, ad immettere vibrazioni ossianiche e Sabbathiane nel proto-metal degli Steppenwolf e dei primi Judas Priest (vedi “Sin after sin”), ma evidentemente l’epoca non era quella giusta per un sound roccioso, chitarristico, dinamico, ma dall’atmosfera cupa ed oscura. Infatti, dopo alcuni intensi anni di attività, il gruppo si scioglie, ma il nome continua a circolare fino a diventare una sorta di micro-culto. Nel 1998, finalmente, viene pubblicato l’album d’esordio, intitolato semplicemente “Volume 1”. Poi, di nuovo silenzio fino al 2004, quando i Jones-brothers decidono di rimettere in piedi i Pagan Altar, forse tentati dall’epidemia di reunion e ripescaggi che inflaziona il mercato odierno. Così seguono due full-lenght, uno split con gli ottimi Jex Thoth ed il presente Ep, uscito nel 2004 ma ristampato adesso con differente artwork. Infine è imminente un nuovo lavoro, dal titolo “Never quite dead”.
Le cinque canzoni presenti nell’Ep, sono esattamente ciò che ci si aspetta da questi veterani: a parte la breve “Highway cavalier”, classico biker-rock d’annata, le altre sono lunghe doom-song tra Black Sabbath, Angelwitch e The Obsessed, dalle quali emerge soprattutto il fluente chitarrismo stile Iommi e la voce di Terry Jones, che invece si distacca dal modello Ozzy per un’impronta più classicamente rock e velata di malinconia. Il tutto corredato da liriche che spaziano tra temi lugubri e visioni spazio-scientifiche ispirate agli Hawkwind, altro grande colosso musicale che deve aver influenzato le origini dei Pagan Altar.
Pur con l’inevitabile sensazione di chi arriva in ritardo di parecchi decenni, questa formazione merita l’interesse di tutti gli amanti del doom rock di alta qualità a cavallo tra le decadi ’70 e ’80.
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