Asfissiante! Non esiste aggettivo migliore per definire questo
“The Bat, The Wheel And A Long Road To Nowhere” degli svizzeri
Zatokrev.
Un album pesante come un macigno ed oscuro come la più tetra delle notti dantesche, caratterizzato da chitarre affilate come rasoi, che non disdegnano lunghe parti noise veramente estraneanti ed opprimenti (come il lunghissimo break presente a circa metà di
“Medium”), uno screaming acidissimo e disperato ed una sezione ritmica capace di tessere trame ossessive ed ipnotiche, utili a generare una sensazione di malessere e claustrofobia che pervade tutta la durata del disco.
Lo spazio di manovra della band è riconducibile ad un
Doom Metal estremo, con i
nserti Sludge/Stoner molto violenti che lasciano davvero poco alla melodia e alla velocità, infatti durante l'ascolto di questo platter vi troverete quasi sempre davanti a mid tempos granitici, sorretti dall'operato di una band sicuramente affiatata e compatta, sui quali si poggia un cantato urlato e disperato, fondamentale per donare alle composizioni un mood mefitico e malato. Le accelerazioni sono veramente rare e messe con il contagocce, come il breve accenno di blast beats posizionato in chiusura di
“Feel The Fire Pt. 2”.Un altro punto cruciale della proposta degli
Zatokrev riguarda i frequentissimi passaggi di chitarra noise di cui accennavo poc'anzi, davvero deliranti e ossessivi, che hanno come obiettivo quello di dilatare le tracce fino quasi ad un punto di non ritorno: immaginatevi una specie di paesaggio alla
David Lynch, ma distorto come se fosse riflesso da uno specchio tremolante... bene, questa è la sensazione di desolazione con cui dovrete fare i conti durante tutto il lungo ascolto dell'opera in esame. Una piccola eccezione a questo quadro certamente poco rassicurante ci proviene dalla traccia di chiusura,
“Angels Of Cross”, dove le classiche atmosfere del gruppo svizzero si intersecano con le aperture melodiche generate dall'inserimento di voci pulite, utilizzate per creare litanie minacciose ed alienate.
Un lavoro particolare, dunque, capace sicuramente di suscitare reazioni contrastanti, penalizzato, secondo me, da una produzione troppo impastata, mirante più a creare il cosiddetto “muro sonoro”, enfatizzando le chitarre e i suoni alti, piuttosto che a dare il giusto spazio a tutti gli strumenti, col risultato di rendere, talvolta, poco intelligibili i riff portanti, come avviene nella seconda traccia, intitolata semplicemente
“9”.Detto ciò non mi resta che congedarmi aggiungendo che album come questi necessitano di moltissimi ascolti prima di essere completamente metabolizzati ed apprezzati, soprattutto a causa dell'eccessiva lunghezza delle varie tracce che li compongono, le quali, come nel nostro caso, rischiano spesso di risultare troppo ripetitive e noiose, spingendo un ascoltatore poco propenso a certe strutture musicali ad accantonare il tutto e a bollarlo come un'emerita schifezza. Quindi, per ricapitolare: album oscuro e tetro, pesante come un elefante che vi cammina sulla schiena ed opprimente come un ascensore bloccato in pieno Agosto! Sulla base di tali elementi, e tenendo conto delle problematiche sopra evidenziate, il mio voto è un bel sette, con l'avvertimento che
tal proposta non è assolutamente consigliabile ad un pubblico eterogeneo, bensì ritengo opportuno invitare all'ascolto tutti coloro che amano sonorità stridenti e poco avvezze alla melodia, miranti a costruire atmosfere disturbanti e per nulla ariose.
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