Dunque, no.
O meglio, quasi.
Progressive metal vuol dire tutto e non vuol dire nulla, anche perché all’interno di questa categoria troviamo band talmente diverse tra loro che probabilmente ci vorrebbero altre decine di aggettivi per catalogarle come si deve. Una buona manciata di questi aggettivi potrebbero essere appioppati, senza il rischio di sbagliare, a questi ragazzotti statunitensi, autori di un prog estremo, ma così estremo da risultare, purtroppo, anche estremamente noioso.
Se dovessi fare degli accostamenti, potrei citarvi i Periphery, Townsend, i primi Pain Of Salvation, i Meshuggah e tanti altri, ma nessuno di questi nomi vi aiuterebbe a capire in pieno la proposta degli Stealing Axion. Un disco difficile, lungo e intricato, dove mai si riesce a capire dove diavolo vogliano andare a parare con soluzioni sì di grande impatto, ma spesso fuori luogo. Suoni prepotenti, voci clean e growl e poi un po’ di tutto: heavy, thrash, core, alternative, progressive, death…insomma, un casino. Ragionato, ma pur sempre un casino.
Ora, nessuno dice che il progressive debba avere delle regole ben precise, ma quando l’ascolto ti stanca fino a questo punto qualche domanda bisogna porsela.
Provate a sentire con le vostre orecchie. Per quanto mi riguarda c’è bisogno di una bella sfoltita alle idee: non è necessario mettere tutto ovunque. Quando le canzoni cominceranno ad assomigliare, appunto, a canzoni invece che a disperate scorribande di cieca pazzia, probabilmente saremo di fronte a un discone pauroso. Fino ad allora, se proprio vogliamo ascoltarci gli Stealing Axion, meglio farlo per pochissimi minuti al giorno, preferibilmente prima dei pasti.
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