Terzo album in tre anni, più un bel live nel mezzo giusto per non farsi mancare nulla: i Black Country Communion proseguono dritti come treni con il ritmo Seventies e sfornano Afterglow già nel finale di questo 2012.
Iniziamo con lo sgomberare il campo da due interrogativi che sicuramente vi frullano in testa:
1- Sì, il disco è assolutamente all’altezza dei predecessori (
qui e
qui le recensioni)
2- No, Kevin Shirley non è riuscito a rovinare questo album, che anzi a livello di suoni risulta il migliore dei tre pubblicati dalla band
Fatte le dovute premesse, in generale potrei dirvi che, mai come in questo album, i Black Country Communion si dimostrano una band a tutti gli effetti, con un marchio di fabbrica vero e proprio e senza sembrare semplicemente l’unione di quattro differenti esperienze e stili. Pur sfornando ancora una volta canzoni abbastanza diverse tra loro, infatti, il disco risulta omogeneo dalla prima all’ultima nota, cosa che mancava nei precedenti lavori.
Glenn Hughes offre sempre una prestazione che definire incisiva è riduttivo, con un basso enorme come al solito ma non osando mai più del dovuto con le corde vocali, riservando probabilmente all’ambito live le proprie velleità vocali, mentre Bonamassa è più ispirato che mai. Sherinian rimane un po’ in ombra esattamente come ci ha abituato finora all’interno dei BCC, mentre Bonham è la solita macchina da guerra precisa e serrata.
Si parte con l’aggressiva
Big Train, seguita da una
This Is Your Time carica di groove saltelloso e da una
Midnight Sun che ricorda decisamente il materiale degli Who più rock.
Confessor è un’altra bella sassata hard-rock oriented, mentre
Cry Freedom è una cavalcata ritmata e trascinante. Nemmeno il tempo di chiedersi perché ancora non abbiano rallentato che arriva
Afterglow, affascinante song dall’intro tranquilla e dallo sviluppo articolato e roccioso. Trascurabile
Dandelion, mentre
The Circle ripercorre più o meno il sentiero della title-track con simile efficacia, anche se presenta elementi di maggiore sperimentazione, che tra l’altro proseguono nella successiva
Common Man.
The Giver ci riporta in territori più catchy, mentre la chiusura è affidata a
Crawl, che ripresenta quelle caratteristiche zeppeliniane già più volte identificate parlando di questa band.
Pare, e dico pare, che il sodalizio dei quattro ragazzotti stia per finire. Si dice che Hughes e Bonamassa abbiano cominciato ad avere problemi di convivenza e divergenze sulla visione del futuro dei BCC. Certo, sarebbe un peccato, anche perché poter vedere sul palco insieme tali personaggi non capita tutti i giorni e perché, pur senza esagerare, ci hanno regalato tre dischi comunque da avere e ascoltare sempre con piacere. Insomma, non posso sapere cosa riserverà il futuro, ma sicuramente di fronte ad album così e musicisti di questa levatura bisogna solamente levarsi il cappello e, ovviamente, aprire il portafoglio per comprarsi il disco.