Dopo l'interlocutorio EP "Home at Last", prima di poter entrare nel vivo del nuovo album dei
Grave Digger ("Clash of the Gods", ispirato alla mitologia Greca), dobbiamo lasciarne scorrere anche l'opener, infatti, "Charon", peraltro cantata in tedesco, con il suo andi spiccatamente Folk sembra rimandare più agli In Extremo che ai nostri
scavatori di fosse.
"God of Terror" ci ripropone i Grave Digger più di maniera – pure troppo - con le cose che vanno poi meglio, prima su "Helldog" e quindi con "Medusa": finalmente un buon mid-tempo dove Chris Boltendahl e soci fanno pesare tutta la loro classe, con Axel Ritt a non far rimpiangere i suoi predecessori, e comunque va anche sottolineato come la presenza di H.P. Katzenburg si sia fatta meno
occulta del solito, più presente e con un marcato appeal settantiano.
L'album sembrerebbe davvero aver preso il verso giusto, sensazione rafforzata dalle energiche "Walls of Sorrow" e "Warriors Revenge", che piazzano un refrain melodico ed atipico per gli standard del gruppo, almeno finché non sale in cattedra il sempre inconfondibile Boltendahl.
La magia finisce però presto, con la titletrack (nonostante il mood orientaleggiante ed i toni epici) e "Death Angel & the Grave Digger", che piazzate in rapida successione convincono ben poco, e soprattutto quando viene il turno della
riciclata "Call of the Sirens", che finisce per citare (e c'è da sperare che sia voluto!) largamente "The Dark of the Sun" ed un pochino meno "The Ballad of Mary (Queen of Scots)", restando - al di là della resa complessiva del pezzo - un momento ben poco felice, cui spetta rafforzare il sospetto che i Grave Digger abbiano, perlomeno in quest'occasione, perso smalto ed ispirazione.
Sicuramente non all'altezza dei loro momenti migliori.
Well, it's a dirty job but someone's gotta do it
And it's a dirty review but someone's gotta write it ...
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