Versione attualizzata dei Black Sabbath di “Sabotage” e “Never say die”, gli svedesi
The Graviators non si preoccupano neppure di mascherare un pochino la loro assoluta devozione nei confronti dei giganti britannici. Anzi, sfornano un album derivato dal modello originale con precisione certosina, totalmente immerso nell’atmosfera heavy rock della seconda metà degli anni ’70.
Le canzoni dell’album sono buone, i riff e gli assoli notevoli, la voce squillante ricorda quella di Mannhai, Mustash, Witchcraft, e c’è perfino una jam-song finale (“The infidel”) dove la lead di Martin eleva le sue impennate psichedeliche. Per l’ennesima volta siamo di fronte ad un lavoro impeccabile sotto tutti gli aspetti, compreso quello della scorrevolezza, però eccessivamente
revivalistico. Lo stile del quartetto scandinavo ricorda infatti un’altra nota band “ispirata” da Ozzy e soci: i canadesi Sheavy, autori di una serie di lavori dello stesso tipo.
Detto questo, tracce vigorose come “Soulstealer”,”Morning star” e “Presence”, rimangono ottimi esempi di quel suono cupo e dinamico che continua ad affascinare ancora oggi, mentre “A different moon” si avvale del contributo delle tastiere aprendosi al classico hard rock settantiano.
Perciò, se non vi turba la somiglianza con altre formazioni, il groove antico di questa band non mancherà di coinvolgervi.
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