Avevamo già incontrato
Graham Greene tra le fila della band di Jac Dalton in occasione della realizzazione di
Icarus, adesso invece siamo alle prese con un album tutto suo.
Con
Leap of Face –che arriva anch’esso dalle nostre parti dopo anni dal primo release (era il 2006)- Greene ci propone un lavoro senza dubbio degno di nota e ci dimostra il perché sia considerato tra i migliori chitarristi rock della sua nazione, o
lo sciamano della chitarra per i riferimenti al voodoo presenti nelle sue opere, e in effetti delle sfumature simili sono ancora facilmente individuabili; l’impostazione prettamente melodica dell’album lo rende estremamente godibile e i virtuosismi presenti aggiungono valore senza appesantirlo.
Anche perché Leap of Face è già pesante di suo...
Il vero problema è che un disco troppo lungo, arriviamo quasi a un’ora piena, e quindi capiterà facilmente che vi venga la voglia di skippare un bel po’ di brani o magari passare ad altro. Non che quest’opera non si lasci apprezzare, ma è proprio una questione di mole. Ne consegue che brani come la suadente
“CJ’s Blues” o la sognante
“Sahara Moon”, nonostante risultano tra i migliori dell’album, rischiano di perdersi nel contesto e rallentare un ascolto che ha già i suoi rilassamenti.
L’indole rock di Greene trova massima espressione in
“The Vowels of the Earth” dove troviamo anche un’effettistica un po’ più dura e lo stesso vale per
“Raven Eye Pt.1”, mentre con
“Fire in Your Liberty” incontriamo la voce di Donna Greene nell’unico brano cantato del disco.
Onore al merito, per carità, Greene ha fatto davvero un ottimo lavoro, potremmo dire che tutti i brani hanno il loro perché, ma tutti insieme finiscono con farsi male l’un l’altro.
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