Affrontare una recensione di
Mike Patton non è cosa da poco. L’istrionico singer riesce ogni volta a spiazzarti del tutto, e non sai mai cosa aspettarti da un suo nuovo lavoro. Conosciuto ai più per la sua militanza nei Faith No More, ha però collaborato con mille altri gruppi “minori”, e sicuramente ancor più sperimentali della band madre, come Mr. Bungle, Tomahawk, Fantômas, Lovage, The Dillinger Escape Plan, Peeping Tom, oltre ad aver scritto musiche per film e videogames. Sicuramente l’incontro che ha cambiato definitivamente la sua vita e il suo stile musicale e l’ha tramutato nel pazzo che è oggi è stato quello con l’altrettanto folle, anzi di più, Jonh Zorn, abile e avanguardistico sassofonista jazz nonché sperimentatore dell’estremo con i vari Naked City, Painkiller, etc… Se a questo aggiungete l’amore folgorante che Patton ha provato per la musica italiana degli anni ’60, capirete come sia arrivato ad un progetto come Mondo Cane, in cui rivisitava, a modo suo, una manciata di brani storici dell’epoca, o a questa collaborazione con il combo belga
Ictus Ensemble, orchestra nata nel 1994 e specializzata in musica contemporanea. Da questa cooperazione è nato “Laborintus II”, che in realtà è una reinterpretazione di una vecchia opera teatrale del 1965. L’opera originale è stata musicata dal famoso musicista italiano
Luciano Berio, compositore d’avanguardia e pioniere della musica elettronica, su un testo di
Edoardo Sanguineti, poeta e scrittore, anch’esso ligure come Berio. I due misero su l’opera in occasione del settecentesimo anniversario della nascita del sommo poeta Dante Alighieri, e oggi Patton ce lo ripropone, ovviamente a modo suo. Ecco quindi tre mini suite collegate tra loro, che sono la summa di quanto proposto fin’ora dal singer americano. Genio e sregolatezza, cacofonia e follia, avanguardia ed eccentricità, possiamo ritrovare tutto questo in “Laborintus II”, grazie anche al supporto, altrettanto schizzato, dell’Ictus Ensemble. Vi dico fin da subito che questo non è un album per tutti. Non c’è traccia di melodia, i brani sono pesanti da digerire, Patton non canta, ma biascica in un italiano americanizzato, tra una digressione musicale e l’altra, e si spazia dal jazz d’avanguardia alla musica classica, passando per parti a primo ascolto senza un senso logico (ma ce l’hanno, v’assicuro che ce l’hanno), e che soprattutto non hanno assolutamente nulla di rock o metal. Quindi, se non siete aperti alla musica sperimentale troverete solo una marea di rumore indefinito. Se invece masticate un minimo l’argomento, avrete di che gioire, in quanto ci troviamo davanti a tre brani di alta classe. Inutile dirvi che l’album va ascoltato tutto d’un fiato, per tutti e trentatré i minuti che lo compongono, in quanto ogni singola nota è collegata all’altra seguendo un percorso folle ma ben delineato che vi farà viaggiare in una dimensione alternativa e atemporale… “Laborintus II” era già estremamente avanti per l’epoca in cui fu composto (ricordiamo, il 1965, mica cazzi), ma Patton riesce a spingerlo ancora oltre, rispettandolo ed omaggiandolo, ma al tempo stesso attualizzandolo e donandogli un tocco di “futuro”, spingendosi ancora oltre i confini canonici della musica contemporanea d’avanguardia e confermandosi come uno dei personaggi più eclettici, istrionici e geniali della scena musicale dei giorni nostri. Sicuramente anomalo per le pagine di Metal.it, resta comunque un esempio di musica di alto livello…
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