Assorbire una defezione come quella di Richard Martin Anderson (tornato nei Warlord, con i quali sarà chiamato, in una sorta di singolare
inversione di ruoli, a confermare quanto di strabiliante ha realizzato lontano da quell’esperienza …), così importante nell’economia sonora dei
Martiria, non era sicuramente un impegno agevole e, a scanso di equivoci, diciamo subito che l’ardua impresa viene portata a termine con successo.
Questo non significa che un
pizzico di rammarico per tale separazione non ristagni proprio lì in fondo al cuore, dove albergano le sensazioni più radicate e profonde, ma questa percezione non è tanto legata alla prestazione del suo sostituto, complessivamente ottima peraltro, quanto all’affetto che i
fans storici del gruppo nutrivano per quella laringe così
speciale e per la favolosa alchimia che si era creata in seno alla
band romana.
In questo modo, anche se Freddy non è Richard, e non sarebbe nemmeno giusto “aspettarsi” che lo sia, la sua voce non stravolge il contesto artistico e si amalgama piuttosto bene al suono sensibile, drammatico e altamente evocativo dei nostri, che con “Roma S.P.Q.R.” tornano alla celebrazione dell’Impero Romano (già in qualche modo onorato nell’esordio “The eternal soul”) attraverso un percorso narrativo ancora una volta di rara ispirazione e classe, ben lontano, dunque dalle banalità di tante forme di superficiale e “spettacolare” apoteosi.
Nessuna ombra di opportunismo nell’adottare un tema già ampiamente sfruttato e da un po’ tornato in auge (attraverso film, serie televisive, …), dunque, bensì l’ormai consolidata arte poetica di Marco Roberto Capelli impegnata nel descrivere miti, ambienti, circostanze e personaggi straordinariamente affascinanti e avvincenti, capaci ancora di stimolare vibranti suggestioni nonostante il bombardamento operato dai libri di scuola e dai
media.
Musicalmente siamo di fronte all’ennesimo
moloch edificato sulla
grandeur epico-gotica di Sabbath, Warlord e Candlemass e tuttavia ormai diventato, nelle sapienti mani di questa nobile
legione capitolina, un’entità “originale”, che dai grandi del passato mutua anche la voglia di “crescere” disco dopo disco, anche solo offrendo una diversa prospettiva del proprio credo espressivo.
La formula stilistica selezionata per “Roma S.P.Q.R.” alterna con sagacia soluzioni più “dirette” ad improvvisi squarci
doom, enfasi impetuose a delizie acustiche, il tutto ornato da preziose raffinatezze armoniche e da brevi recitati in inglese e latino (integrati nel magnifico
booklet da citazioni letterarie e cinematografiche), in grado di rendere l’incessante stimolazione immaginifica ancora più incisiva.
In tale situazione emerge ulteriormente la creatività, la vocazione e la distinzione di Andy Menario, un musicista e compositore che non smette di sorprendere per come riesce sempre a fornire una netta impressione di “dominio” assoluto della “materia”, con l’impegno e l’ambizione di chi vuole andare costantemente un
passetto “oltre” e non ha bisogno di ricorrere all’ausilio dell’
anthem “ad effetto” per conquistare l’ascoltatore appassionato.
Estimatore che per cogliere fino in fondo l’anima di questa musica dovrà forse svincolarsi leggermente dal concetto del “capire tutto e subito” (e non è una novità …), e che nonostante ciò fin dal primo contatto non farà troppa fatica a lasciarsi avvolgere dall’invincibile
mid-epic “Callistus wake”, dalla maestosa e disinvolta
heavyness di “Tale of two brothers (Remus and Romolus)” (lievemente meno efficace, invero), dal rabbrividente clima di magniloquenza ossianica offerto da “Byzantinum” o ancora dall’atmosfera eroica di “The northern edge”, ingemmata da un
break che sollecita l’immagine di una “Kashmir” suonata nel regno di Ade.
“Hannibal (sons of Africa)” combina con il solito carisma l’arte dei “Signori della Guerra” californiani e le tendenze maggiormente recenti del
metallo glorioso e “Ides of march” evoca il celebre
Cesaricidio attraverso un misto di melodramma e poesia a cui, probabilmente, per un coronamento assoluto, manca appena un briciolo di superiore tensione emotiva sotto il profilo vocale.
Spietatezza “divina” e pomposità “votiva” innervano “The scourge of God”, “Elissa” consente di
cavalcare al fianco della leggendaria Didone nella sua peregrinazione e di assistere alla sua tragica e animosa fine, nell’atavico conflitto tra amore e odio, mentre la titanica “Burn baby burn (Magnum incendium Romae)” inscena il delirio distruttivo per cui è ricordato Nerone sfruttando una
sulfurea esalazione di marca Sabs / Candlemass.
Degno epilogo di un albo di altissimo livello appare infine “Spartacus”, in cui l’
animus pugnandi de "lo schiavo che sfidò l'Impero" diventa un’ulteriore dimostrazione di “forza” e “ardimento” compositivo, dove l’andatura è decisa e incalzante e il
pathos epico è tangibile e non convenzionale.
I Martiria sono inequivocabilmente da annoverare tra i grandi dell’
heavy metal … è già da un po’ che lo sostengo e oggi lo ribadisco per l’ennesima volta con immutata convinzione.