Il
rock sembra aver perso quasi completamente il suo spirito “eversivo” e finisce per riciclare continuamente gli insegnamenti dei “padri” … e allora, dove tentare di rintracciare gli impulsi necessari atti a generare spazi creativi, se non proprio “rivoluzionari”, almeno personali e “freschi”?
Una risposta può essere quella di spingersi in territori geografici lontani dai riflettori, in cui la componente etnica della musica non sia ancora stata azzerata dal diffuso senso di “globalizzazione”, da un lato possibile fonte di appiattimenti artistici e dall’altro straordinario strumento di trasmissione e condivisione delle idee.
Non si tratta di una situazione del tutto inedita (basti pensare all’influsso latino di certo
crossover, ai
blockbuster Sepultura e System Of A Down, oppure a episodi più di nicchia come i Tribe After Tribe …), ma oggi lo spostamento ad “oriente” del
focus discografico appare una tendenza importante e costruttiva un po’ in tutte le varie branche stilistiche del
metal, dal
prog al
death, dal
power al
thrash, dal
black all’
alternative.
Sulle orme di Melechesh e Orphaned Land (a Kobi Fahri è stata, tra l’altro, affidata la selezione delle bands contenute nella
compilation “Oriental metal”, patrocinata dall’autorevole Century Media, ad ulteriore conferma dell’attenzione riservata al fenomeno …), ecco emergere i tunisini Myrath, gli egiziani Ahl Sina, i palestinesi Khalas o i franco-algerini Acyl, tutta gente capace di portare piccole e significative novità al proprio settore di competenza.
A questa brillante compagnia si aggregano anche i libanesi
The Kordz, in grado di offrire all’universo
alternativo della musica quel pizzico di originalità e carisma diventato sempre più raro da reperire, quel contributo di distinzione che possa perturbare la
routine di un
habitat affollato,
massificato e altamente competitivo.
Mescolando abilmente le atmosfere cupe e tragiche degli Alice In Chains, l’ardore
post-grunge degli Alter Bridge e le ammalianti trame sonore della tradizione araba (facendo largo uso di strumenti tipici), i nostri realizzano uno dei dischi più coinvolgenti e convincenti degli ultimi tempi, pieno di canzoni veramente ispirate che si segnalano per una forza interpretativa realmente impressionante.
Merito della voce densa di
pathos di Moe Hamzeh e delle linee melodiche che lui e i suoi
pards hanno saputo saggiamente costruire, tra vibranti traiettorie
psycho-rock, inebrianti esotismi e sagace affabilità “commerciale”, proprio quelle che rendono "Deeper in” (introdotta dalla suggestiva “Coma nation”) uno degli
hit-single maggiormente efficaci dell’attuale programmazione radiofonica specializzata.
“Beauty & the East” non riserva in pratica momenti trascurabili (e anche questa può essere considerata una piacevole “anomalia”, in un ambito dove spesso accanto a una manciata di “pezzi forti” si sprecano i
filler), e se “Nothing or everything” e “Last call” possono vagamente ricordare le cose più “rilassate” dei SOAD, “Insomina kid” e “Get behind” evocano dei Linkin’ Park dopo una
sonica conversione islamica e l’arrangiamento “cinematografico” della
title-track finisce per trasportare l’ascoltatore in un clima magico e fascinoso, pregno di profumi stordenti, ipnotici canti tribali e conturbanti danze sotto i cieli sconfinati del deserto.
“Save us” (con bagliori di David Bowie e Pink Floyd nell’impasto) e “The garden” sono appassionanti ballate, “Don’t you wait”, “Again” e “The one” (con un’ombra di GnR, “latente” nel tessuto connettivo del brano) possono sfidare gli epigoni del
Seattle sound sul loro terreno preferito, “Heroes’n’ killers” ha un andamento inquieto e un
refrain catartico, mentre “Purgatory” riesce a conquistare i sensi anche senza arabismi, che tornano trionfanti in “The end”, l’ennesimo esempio palese dell’arte “senza confini” dei The Kordz.
“Nic-o-teen”, infine, chiude sorprendentemente l’albo con un’
improbabile fusione tra The Sweet e Simple Minds, aggiungendo l’aspetto di puro “divertimento” alle opportunità di ascolto e avvalorando la cultura ampia e variegata di una formazione di grande valore.
Chi sceglierà questa “Heroes & killers edition”, quella che mi ha consentito di riproporre il nome del gruppo ed esprimere anche il mio “conciso” parere sul
tema (dopo che Pippo 'Sbranf' Marino aveva a suo tempo già incensato la versione “normale” dell’opera), troverà, poi, in aggiunta a tanta opulenza, un favoloso
bonus Dvd contenente un emozionante estratto acustico tratto da “The Kordz – In Concert (unplugged)”, il bel
clip ufficiale di “Last call” e, soprattutto, un interessantissimo documentario (intitolato, non a caso, “Rock in a hard place”) in cui la
band (con il contributo di figure importanti della scena locale e coadiuvata da immagini inerenti alcuni dei momenti essenziali della sua “storia”) racconta quanto
impegnativo (e
ispirativo, al contempo) sia vivere, suonare e promuovere il
rock n’ roll in una terra “difficile” come il Libano.
Lo so che ormai le
next-big thing sono all’ordine del giorno e si susseguono incessantemente, ma per quanto mi riguarda la mia “rivelazione” in campo
alternativo l’ho trovata da un po’… si chiama The Kordz, non sarà facile superarla e dimostra che c’è ancora una speranza anche nell’evidente stagflazione del mercato contemporaneo.