Ennesima formazione che si tuffa nel filone più in auge del momento, quello che cerca di coniugare la diafana melodia uggiosa e depressiva del post-grunge con poderose infiltrazioni di brutalità industriali nu-metal.
Ne sortisce il solito stile ibrido, altalenante, freddamente costruito a blocchi con l'accortezza e la precisione del chimico. Una porzione di dolcezza, una di violenza, un'altra pausa sognante, un altro stacco granitico, e così via schiacciando a forza nello stesso spazio due anime contrapposte, raramente comunicanti tra loro. Rabbia e riflessione, tranquillità e furore, tutto sommato è una musica che si adatta bene ai nostri tempi così ondivaghi e schizofrenici.
Dei Leaf sappiamo ben poco, se non che dovrebbero essere Tedeschi, ed il loro album presenta la solita struttura alla quale siamo ormai abituati. I brani vengono monopolizzati dalla parte vocale, che lungamente e costantemente ci accarezza con toni suadenti e ci schiaffeggia con feroce screaming accorpato ad esplosioni chitarristiche compresse e monolitiche. L'atmosfera anche nei momenti più delicati ha qualcosa di malsano, di angosciante e lamentoso, immagini di autunni plumbei e sentore di foglie in decomposizione. Le canzoni scorrono monotone e stancamente uguali, la differenziazione dei brani è praticamente nulla e non bastano alcuni minimali inserti elettronici ad illuminare uno schema pietrificato che fà di questo tipo di gruppi una serie infinita di cloni indistinguibili. Uno degli episodi più riconoscibili e validi è la cover pestona di "Temple of love" dei Sisters of Mercy, e ciò non depone in favore dei Leaf.
Avvicinatevi a questo gruppo solo se siete amanti del crossover aggro-melodico, altrimenti c'è il rischio di annoiarsi parecchio.
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