Sono ormai molti anni che Edgar Winter, classe ’46, da solo o in collaborazione con il fratello Johnny (gran chitarrista blues – i due hanno pubblicato anche un disco in coppia intitolato “Together” appunto, dove ripropongono alla loro maniera alcuni classici del rock’n’roll e del rhythm’ n’ blues anni ’50 e ’60), calca le scene del rock blues che conta, a partire dagli incerti esordi di “Entrance” del 1970, passando per l’ottimo “Edgar Winter’s white trash” del ’71, che vede anche la presenza di Rick Derringer (in pratica un “amico di famiglia”, visto che, oltre a caratterizzare, da questo momento, anche molti altri lavori del minore dei fratelli Winter, ha anche spesso suonato nei dischi di Johnny), fino all’hard rock blueseggiante di quello che sicuramente è considerato come l’apice della parabola artistica (e commerciale) del musicista texano, ”They only come out at night” (’73), uscito sotto la denominazione Edgar Winter Group, con Ronnie Montrose alle chitarre e Dan Hartman al basso e che contiene i suoi brani probabilmente più famosi, “Frankenstein” e "Free ride", che tra l’altro vengono riproposti in versione jazzata anche in questo nuovo album.
“Jazzin’ the blues” è il secondo tassello di una trilogia che, iniziata nel ’99 con “Winter blues”, dovrebbe essere ultimata con il prossimo “Rockin’ the blues” (o “Keep on rockin’”, il titolo non è chiaro, in quanto il disco è ancora in fase embrionale …), nella quale Edgar Winter affronta, più o meno separatamente, le sue tre più grandi passioni musicali: il blues, il jazz e il rock … e se in qualche modo sia il rock sia il blues avevano già in passato segnato inequivocabilmente la sua carriera, è la prima volta che l’albino si cimenta in un lavoro in cui è il jazz ad avere un ruolo così predominante.
Anche qui, come già accaduto in “Winter blues”, la lista degli ospiti è di grande rilievo: da Steve Lukather (Toto) e Hiram Bullock alle chitarre, a Will Lee al basso, a Gregg Bissonette e Rick Latham alla batteria, per finire con Lee Thornburg alla tromba, tutti musicisti in grado di garantire indiscutibili capacità e qualità esecutive.
In quest’album, quindi, potrete trovare jazz, swing, funk, bebop, fusion, copiose quantità di blues, ma veramente pochissimo rock e se, come me, non siete grandi appassionati di questi generi, troverete decisamente difficile “digerire” completamente questi quasi 62 minuti di musica, ottimamente composta e suonata, ma priva di quella componente di anfetaminico hard rock, che invece aveva contraddistinto i migliori dischi di Edgar degli anni’70.
In conclusione, il mio consiglio è di recuperare qualcuno di quei lavori, o attendere eventualmente la pubblicazione del già citato terzo capitolo del trittico, dedicato a sonorità più elettriche (il quale si preannuncia, almeno stando alle parole del suo autore, come veramente “incendiario”), lasciando “Jazzin’ the blues” ai “jazzomani” meno puristi e agli amanti del blues più contaminato.
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