Un successo già annunciato quello dei
The Gaslight Anthem quando la scorsa estate hanno lanciato il loro quarto album
Handwritten con la nuova etichetta Mercury Records, e come lo è stato questo lo erano già stati anche i precedenti.
La produzione è affidata a Brendan O’Brian, già a lavoro con Pearl Jam e Bruce Springsteen, artisti questi che poi non sono altro che le fonti di ispirazione più profonda per la band del New Jersey; già questo dice tutto, se poi aggiungiamo copertine, articoli e la critica pronta ad accoglierli a braccia aperte il gioco è fatto.
Chi già li conosce saprà che la loro proposta comprende un rock a metà tra l’indie e l’alternative con ampia aperture su un punk-rock poco punk e poco rock, e di sicura rievocazione storica partendo dagli anni ’50 e rispecchiando molti elementi delle correnti su cui è fondato il successo della musica di quegli anni, ancora capace di conquistare. Così sospinti dalle note nostalgiche sapientemente rese fresche quel quanto che basta per un bel progetto mainstream iperprodotto e dalla voce intraprendente di Brian Fallon, vera forza trascinante della band, i risultati non tardano ad arrivare.
Anche questa nuova uscita ripercorre le strade intraprese nei loro album precedenti dai quali però si discosta per una registrazione, in piena coerenza con il contesto, molto patinata (altro che punk) e una leggera divergenza della proposta, a mio avviso meno di impatto almeno tra le file degli ascoltatori più esigenti.
E visto che noi delle classifiche possiamo anche sbattercene, mi azzarderei a dire che questo Handwritten può anche considerarsi come un ascolto superfluo, anche limitandoci all’ambito in cui si colloca. Le buone qualità incontrate nell’opener
“45”, e nella successiva titletrack (coretti a parte) dal volto più rockettaro e meno sofisticato, faticano a emergere nelle successive canzoni basate per la maggiore su una celebrazione di quanto è stato che appare un po’ forzata e costruite su ritmi poco coinvolgenti, spesso troppo lenti. Delle tre tracce aggiuntive contenute nell’edizione deluxe riprenderei
“You Got Lucky” a suo modo abbastanza originale. Per il resto poca roba.
Ben vengano le rievocazioni se realizzate con personalità e passione, o meglio ancora mettendoci un po’ della tanto preziosa farina del proprio sacco… cosa che al momento non sono riuscito a riscontrare: a questo punto meglio ripassare gli originali.
oh sha la la.. oh sha la la...
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