Per qualcuno i
Soleil Moon saranno un nome abbastanza “oscuro”, mentre sono certo che almeno ai più attenti frequentatori del panorama melodico mondiale non sarà passata inosservata né la loro classe e né la loro vellutata sensibilità già emersa nel debutto indipendente del 1999 intitolato “Worlds apart”.
Del resto se un
AOR-hero come Michael Thompson ha voluto la laringe affabilmente granulosa di Larry King (tutt’altro che un
parvenu dell’ultima ora, al pari del suo socio John Blasucci …) per il ritorno discografico della MTB (“Future past”), dopo aver concesso le nobilissime note della sua chitarra ai Soleil Moon fin dai loro esordi, “qualche” merito i nostri dovranno pur averlo.
Lo deve aver pensato anche la Frontiers che decide di licenziare al livello internazionale questo poco diffuso lavoro originariamente edito nel 2011 e di addizionarlo di tre
bonus-track tratte dall’ancor meno reperibile primo albo della
band, mai reso ufficiale al di fuori Nord America.
Benché
prevedibili, è dunque necessario sottolineare la competenza e la lungimiranza di Thompson e della gloriosa etichetta partenopea, dacché il disco si offre come un autentico balsamo per l’anima a tutti quelli che si nutrono quotidianamente di quella tipologia musicale in perfetto equilibrio sulla linea di demarcazione che idealmente unisce
hard rock,
pop,
rhythm n’ blues e
soul, dove
feeling e intensità espressiva sono la vera “cartina al tornasole” della situazione.
Arrangiamenti ricercati, ambientazioni immaginifiche ed avvolgenti e una misurata dose di energia impregnano un
songwriting di notevole spessore, in cui il timbro melodioso, pastoso e fervido di King funge da autentico propulsore a canzoni costantemente emozionanti e seducenti, capaci di emanare riflessi cristallini di pura eleganza, armonia e sentimento.
“History repeats it's pages” e “Love the way you love” toccano nel profondo ed evocano brividi e malinconici ricordi, la solare
title-track rimesta Billy Joel e “roba” alla Robbie Williams, e se “Blackbird” è una maniera splendida per omaggiare i Beatles, tocca alla commovente “Goodnight Irene” scavare, nella perfetta semplicità di una voce e di un pianoforte, una voragine nel cuore di ogni
melodic rock fan all’ascolto.
“Freedom” risolleva un po’ la pressione ritmica e si apre ad un suggestivo crescendo armonico, “Burn” è un ancestrale intermezzo strumentale, “Down” aggiunge grinta e disinvoltura al quadro complessivo, “Colorado” sembra un’apologia dell’arte degli Eagles (sarà per l’assonanza con “Desperado”?), “Move on” è un buon esempio di
easy listening dalle vaghe velleità “moderniste” e “Here I am” (presente anche in “Future past”) frizza come se gli Angels & Airwaves si trovassero a
jammare con Toto e Bon Jovi.
Iperboli comparative da “recensore” a parte, i Soleil Moon sono davvero un gruppo di grande qualità e lo sono fin dai loro primi passi artistici, qui ottimamente rappresentati dai deliziosi languori Bolton-
iani di “Ohio” e “Calling on the world” e dalla struggente “I'd die for you”, che molti ricorderanno nella versione dei Place Vendome (nell'album “Streets of fire”) di Michael Kiske, sempre a proposito di referenze non banali.
I “distratti” ora non hanno più scuse … “On the way to everything” merita le collezioni discografiche di ogni
chic-rocker che possa ritenersi tale e se ancora non fa parte della vostra, provvedete a colmare la lacuna prima che le solite
malelingue se ne accorgano e mettano in dubbio la vostra appartenenza a tale aristocratica categoria.
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