Nel lontano 2006, una piccola ma storica label come la
Sound Riot pescò incredibilmente un gruppo francese di nome
Inborn Suffering che tramite l'etichetta diede alle stampe il proprio debutto discografico intitolato "
Wordless Hope".
Speranza senza parole.
Come lo fu quel disco (e tuttora rimane) di una bellezza senza parole. Un apocalyptic funeral doom, nero, nerissimo, un manifesto alla rassegnazione, così tremendamente opprimente eppure ammaliante.
Monolith of the last resort
I’m still bleeding while horizons die
Empty shadows walk away
And I dream of you Così si chiudeva la poesia di "
Monolith", probabilmente il brano più riuscito ed agonizzante di "Wordless Hope", un album che da quel momento mi ha sempre accompagnato ma che passò, tra l'indifferenza generale, totalmente in sordina.
Credevo ormai estinto quel sestetto parigino ed invece un ultimo colpo di coda, prima della parola finale.
Prima dello split, per la
Solitude Records, mai label fu più adatta, viene dato alla luce il loro secondo ed ultimo disco intitolato "
Regression to Nothingness", come a chiusura di un percorso che già al momento della partenza conosceva il proprio triste esito.
"Regression to Nothingness", se possibile, è ancora più bello e disperato dell'esordio. Da sei sono diventati cinque e solo tre di loro hanno partecipato al primo disco, ma l'intensità e la profondità dei loro brani è aumentata ancora, le vocals del chitarrista Laurent Chaulet sono ancora più disperate e rabbiose, la melodia si è fatta meno evidente ma accompagna malinconicamente ogni passo degli Inborn Suffering che sviluppano in modo eccelso gli insegnamenti dei primissimi
Anathema e
My Dying Bride, fondendoli con i maestri di oggi, i
Longing for Dawn, i
Draconian, gli
Insomnium.
A will
Inner strenght
To go through painEcco cosa sono gli Inborn Suffering che prima di lasciarci per sempre ci offrono questa gemma infinita. Ci accompagnerà per l'eternità, nel dolore e nell'oblio. Finchè morte non ci riunisca.
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