“Beyond the boundaries of sin” è un
album perfetto per chi si
nutre quotidianamente di
horror,
epic metal e caliginoso
hard rock, e scoprire che dietro il
monicker Hellwell si “nasconde”, oltre al misterioso titolare della testata, anche Mark "The shark" Shelton, non potrà che far gioire tutti i
fans dei Manilla Road, che ritroveranno le caratteristiche fondamentali dei loro beniamini immerse in un suggestivo clima
seventies (non del tutto inedito, peraltro, ricordando gli esordi della
band americana), in cui scorgere influssi di Uriah Heep, Deep Purple, Writing On The Wall e Atomic Rooster.
Dall’altro lato, chi non ama il timbro vocale così peculiare di Shelton e la produzione essenziale e “vintage” tipica delle sue manifestazioni artistiche, farà presumibilmente “fatica” ad apprezzare pure questo fascinoso progetto in grado di enfatizzare altresì il talento di Mr. Ernest Cunningham Hellwell (già intravisto nella
line-up di “Playground of the damned”), un musicista dotato di notevole gusto espressivo, nonché un immaginifico scrittore, dalla cui rabbrividente penna è scaturito il racconto “Acheronomicon”, utilizzato come base narrativa del sinistro trittico che conclude l’albo.
Coadiuvati dal potente
drummer Johnny "Thumper" Benson e da un paio di ospiti appartenenti anch’essi alla più recente incarnazione dei
metallers di Wichita, i nostri costruiscono un clima fortemente evocativo, impregnato di tensione e di conturbante suggestione, in cui chitarre poderose e tastiere sulfuree si fondono a meraviglia con una voce enfatica e inquieta (potrà non piacere, ma non sarà mai tacciata di “convenzionalità” …), realizzando un
pastiche sonoro arcano e davvero seducente.
Il “mistero” inizia nella maniera migliore con “The strange case of Dr.Henry Howard Holmes”, gioiellino di arte
epico-gotica, “Eaters of the dead” (ispirata all’omonimo romanzo di Michael Crichton e al relativo
film, “Il tredicesimo guerriero”, di John McTiernan) accentua i toni in fatto di “malvagità” (il
break è pura
liturgia ossianica), “Keepers of the devils inn” è un’autentica evocazione di forze ancestrali, mentre tocca a “Deadly nightshade” impastare limature fuligginose e scorie progressive, proprio come certi
antichi Manilla Road.
Aggressività e catartica solennità contraddistinguono “Tomb of the unnamed one”, apertura della trilogia dell’
Acheronomicon, sostenuta dal
mood possente e dal vibrante fascino tastieristico di “The heart of Ahriman” e sigillata da “End of days”, quattordici minuti d’incombente e appassionante sperimentazione emotivo - musicale, tra effluvi mediorientali,
pathos doom e vortici di bruciante lava metallica.
Un ottimo disco, dunque, magari dedicato fondamentalmente ad un pubblico “selezionato” ed affezionato, il quale ancora una volta troverà grandi motivi di soddisfazione in un suono immarcescibile e viscerale, che le “mode”, nemmeno se abbastanza “benevole” nei suoi confronti (come accade ultimamente …), potranno mai riuscire a corrompere o scalfire.