Non credo di essere l’unico rimasto un po’ interdetto dall’evoluzione dei
Destruction nel periodo post “All Hell breaks loose”. Rimasto affascinato da quest’ultimo e soprattutto dal suo successore, il granitico “The antichrist”, già con “Metal discharge” il mio entusiasmo è andato via via scemando, soprattutto grazie a dischi che non convincevano appieno come “Inventor of evil”, “D.E.V.O.L.U.T.I.O.N.” o l’ultimo “Day of reckoning”, che presentavano qualche buon brano e una serie di filler decisamente fastidiosi, e che, soprattutto, non confermavano quanto di buono fatto con i due dischi citati in apertura, una vera ventata di aria fresca nel thrash teutonico di quegli anni. Beh, finalmente Schmier e Mike hanno deciso che era il caso di tornare sul gradino più alto del podio, e in occasione del trentennale della band, e forse proprio per questo motivo, tirano fuori una bomba di disco che, stilisticamente, ma soprattutto qualitativamente, va a proseguire il discorso lasciato a metà con “The antichrist”. Era ora che il malefico duo tornasse a fare quello che sa fare meglio, e cioè tritare ossa a suon di puro thrash metal tedesco, con Mike ritrovato riffmaker (egregi alcuni suoi passaggi in questo disco), e Schmier non più stanco interprete dietro il microfono, ma incazzatissimo screamer. E parte della ritrovata grinta spetta senz’altro a Vaaver, autore, finalmente, di una prova terremotante e bellicosa dietro le pelli, marcia in più per i brani che, sia chiaro, non lasciano respiro, salvo qualche mid tempo che qua e là va a stemperare la furia omicida del trio. Ma la cosa che mi preme sottolineare più di altre è che “Spiritual genocide” suona di nuovo fresco e ispirato, non si crogiola sui fasti passati della band, anzi, rimette tutto in discussione e coinvolge dalla prima all’ultima nota, con un groove notevole e una carica esplosiva che mancava da tempo in casa Destruction. In attesa del nuovo album dei cugini Sodom, se siete rimasti delusi dall’eccessiva melodia di “Phantom antichrist” dei Kreator, con “Spiritual genocide” avrete di che sfamarvi, con 41 minuti di thrash senza compromessi. Come già accennato non ci sono filler in questo album, ma solo brani che vincono e convincono, a partire da “Cyanide” e dalla titletrack, per finire a “Carnivore”, “Under violent sledge” o “Renegaes”, rasoiate come non si sentiva da tempo. E se è vero che c’è qualche brano più lento (“City of doom”, “To dust you will decay”), ciò non significa che questo corrisponda ad una perdita di aggressività, anzi… Menzione a parte, poi, per “Legacy of the past”, un tributo, appunto, al thrash e al metal in generale del passato, dove Schmier, ancora una volta, come già fece in “Thrash ‘till death” su “The antichrist”, si diverte a buttare giù un testo che incastra, in modi divertente, una ventina di titoli di album storici del passato. Impegnatevi a capire quanti titoli riuscite ad individuare e fatevi due risate… Il brano è una vera scheggia impazzita, e tra l’altro presenta, in qualità di guest vocalist, Tom Angelripper (Sodom) e Gerre (Tankard), che tributano la band, con la loro presenza, in occasione dei trent’anni di carriera. Insomma, tutto fila per il meglio in casa Destruction, che se in questi anni sono rimasti la solita devastante macchina da guerra in sede live, oggi ritrovano la loro giusta dimensione anche in studio.
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