Musicisti di grande esperienza (tra l’altro, cambio di formazione che ha visto uscire dalla line-up i due italiani precedentemente presenti): una virtù o un limite?
Domanda provocatoria, ovviamente, perché è ovvio che l’esperienza sia importante per scrivere e far rendere al meglio la musica. L’ho fatta perché, in fin dei conti, dopo un paio di passaggi di questo Calling The Gods, quello che rimane è la sensazione di avere a che fare con un metal decisamente di mestiere, che passa via veloce senza annoiare ma senza nemmeno farsi ricordare.
Gli episodi di valore non mancano, come Spirit In The Wind, Evil Eye o Land In Flames, ma quando la band cerca di allontanarsi un po’ dal power metal e derivati (per derivati intendo mid tempos e melodie alla Sonata Arctica, per intenderci) per approdare a una specia di rock/hard rock melodico si crolla clamorosamente nell’anonimato più totale. Facendo finta di non considerare questi brani (ma la stiracchiata sufficienza è comunque totalmente colpa di tali inspiegabili inserti), rimane un power/melodic heavy metal di stampo decisamente tedesco, che risulta sicuramente gradevole, ma che più di tanto non può fare, soprattutto se pensiamo ad altre band e a come siano in grado di rendere al meglio questo genere.
Progetto abbandonato, poi ripreso: cinque anni tra il primo e il secondo disco sono oggettivamente troppi. Se questa line-up sia quella definitiva e se la band avrà la possibilità, da qui in avanti, di lavorare con maggiore efficacia questo non lo so. Lo spero per loro, però, perché c’è evidentemente bisogno di un salto di qualità per arrivare a risultati più significativi.
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