Il successore di "The Almighty" non si è fatto attendere troppo, ed il nuovo album degli
Heimdall, "Hard As Iron", non delude le aspettative. A mio parere mancano solamente degli spunti speed o quantomeno delle sferzate più energiche che diano una bella scossa all'ascoltatore, e che con il titolo affibbiato all'album era anche lecito attendersi. Per il resto siamo di fronte ad un ottimo album che conferma gli Heimdall come band in salute ed affiatata (anche se dobbiamo registrare l'uscita del batterista Nicola Callouri a favore di Enrico Canu), con Giacomo Mercaldo ormai completo padrone della scena. Personalmente non sono d'accordo con alcune delle critiche che sono state mosse nei suoi confronti, Giacomo è dotato di un timbro potente ed avvolgente che continua a ricordarmi l'ex cantante dei Falconer, e che permette agli Heimdall di distinguersi dalla maggior parte delle band dedite al Power Metal. Una caratteristica vincente del gruppo sono sempre stati i cori, ed anche nell'occasione i nostri non si smentiscono. Buono il lavoro ritmico e quello delle chitarre, anche se talvolta sembrano frenate, mentre per le parti di tastiera si poteva fare qualcosa di più. Il dinamico trittico iniziale sottilinea il pathos epico ed eroico da sempre presente nel songwriting del gruppo di Salerno. "Black Tower" fa ancora di meglio, sembra di trovarsi di fronte ai migliori Falconer, con grandi linee vocali e le chitarre a far un figurone, tra gli arpeggi ed i riffs di tradizione maideniana. Non altrettanto convincente "Cold", che seppur bene interpretata ed eseguita (bello l'assolo di chitarra!) rimane una ballad sin troppo di maniera. Tutta incentrata sulla ritmica (complimenti a Giovanni Canu) e sul break melodico, "The Emperor" si perde un po' per strada, recuperando solo in un grande chorus finale, in cui sembrano citare gli Iced Earth di "I Died for You". Un momento di appannamento che viene superato alla grande con "Dark Home", che si segnala come la canzone più ambiziosa ed uno delle più interessanti del disco. La rendono tale l'inizio tribale e le successive atmosfere dark abbinate a passaggi intricati, tra il Progressive e l'Hard Melodico; accostamentio che avevano già tentato i Secret Sphere sul loro secondo album. Peccato che poi cali nuovamente la tensione con l'acustica "Black Heaven", e mi chiedo se davvero servivano due brani lenti su questo disco. Ci pensa la conclusiva "Holy Night" ad tornare su livelli di eccellenza e a ritmi più sostenuti, con la band che "rispolvera" gli aspetti in cui si ottengono, a mio parere, i risultati più rilevanti.
Avessero osato di più, con qualche mid-tempo e pezzo lento in meno, dando maggior spazio a quell'impeto che sembrano aver invece frentato, avrebbero surclassato "The Almighty". Invece alla fine i due albums si equivalgono... ma questa non è nemmeno una cosa così semplice come sembrerebbe, e non a tutti riesce.
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