Cinquanta minuti di magma sonoro avvolto in una coltre di velluto estatico, sempre pronto ad esplodere in lapilli di psichedelia iridescente o in rovesci di pulsante
metallo progressivo è quello che propongono i viterbesi
Il Giardino Onirico nel loro primo
full-length autoprodotto, un disco sicuramente affascinante e intrigante, sebbene a lungo andare probabilmente un po’ troppo ridondante nella reiterazione delle sue architetture musicali.
La scelta di una formula espressiva sostanzialmente strumentale, in cui il contributo vocale si riduce a forme recitate e a sporadici gorgheggi (appannaggio della brava Elisabetta Marchetti) conferisce al quadro complessivo una suggestiva veste “cinematografica”, ma finisce per ridurre leggermente anche lo “spazio di manovra” di musicisti preparati e ispirati, vincolati ad una modalità operativa un pochino troppo ripetitiva per conquistare i sensi in maniera inappellabile.
Questo non toglie che immergersi nell’ascolto di “Perigeo” equivalga ad intraprendere un bel viaggio tra panorami visionari (di natura Floyd-
iana) dotati di notevole fibra interiore, capace di alimentare sensazioni piuttosto prepotenti di trasporto e contemplazione, in una giostra di trame soffuse, ambientazioni inquietanti e scatti di pura energia certamente molto interessante dal punto di vista delle prospettive artistiche.
Le inquietudini schizofreniche di “B.S.D.”, le armonie ad espansione cosmica di “Utopia planitia”, le rifrazioni radiose di “Agosto” (in cui s’innestano conturbanti squarci vagamente Goblin-
eschi) e ancor di più le fluttuazioni magnetiche di “Amigdala” e la catalizzante dimensione vaporosa della
title-track, ci consegnano un gruppo che partendo da solidissime basi creative e temperamentali dovrà solo conferire maggior peso ed affinare l’aspetto squisitamente “comunicativo” della sua prestazione.
Meritevoli di stretto e attento monitoraggio.
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