Alcune volte accade che un disco abbia la proprietà di risvegliare all'improvviso nella mente, delle immagini, come brevi flash, che con lo scorrere della musica si riempono di particolari, dettagli e, con l'ausilio delle sole sette note poste a comando dei cinque sensi, si viene scaraventati verso orizzonti che risiedono nella stessa dimensione del sogno.
Forse eccessivamente romanzato come incipit, ma questo è quello che ho provato durante l'ascolto di “
Argonaut” debutto dei
Katergon, un lavoro sublime, pregno di una carica emozionale notevole, il cui coinvolgimento emotivo credo sia ben descritto nelle prime righe della recensione.
Musicalmente parlando, l'album si muove su svariati territori, che vanno dal
doom al
post rock, dal
progressive anni '70 fino alle
incursioni elettroniche, dove il livello di pathos è sempre altissimo e viene sempre e comunque posto in primo piano. “
The Mountain of Sins” è la traccia posta in apertura, con un intro in crescendo stile
Opeth che si apre su chitarre dall'incedere
post doom in linea con il sound degli
Isis, senza però la pesantezza di questi ultimi. Le atmosfere all'interno di “
Argonaut” sono tutte molto rilassate, con un grande utilizzo di parti acustiche e ipnotiche linee di basso che accompagnano la calda voce del chitarrista e cantante
Jan Marchand, che mi ha ricordato in più di un occasione alcune sfumature di
Mike Patton. L'album prosegue con quello che secondo me è il brano in assoluto più bello del disco, “
Shores of Redemption”: un'introduzione di pianoforte, l'inserimento di archi e il sintetizzatore al centro di un ritornello che risuonerà per ore nella vostra testa. Molteplici influenze con cui dar sfogo all'estro dei quattro musicisti coinvolti, che passano con incredibile disinvoltura da atmosfere più rilassate e morbide, a passaggi di progressive puro, tutto all'interno della stessa traccia (“
An Old Man's Reflection”), fino a momenti più squisitamente
doom, nella concezione più classica del termine, in una canzone come “
Weakened Hands”. Perfetta la chiusura del disco con il brano “
As We Sail the Waters of Oblivion”, pieno di orchestrazioni, chitarre belle spesse e una parte centrale più acustica e riflessiva.
Un album incredibilmente bello, cui solo l'aggettivo “
Infinito” può descriverne l'assenza di confini, l'intensità, e la grandezza.
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