Vedere citati tutti insieme The Doors, Dead Can Dance, Led Zeppelin, Nick Cave, Black Sabbath e Pink Floyd, come i principali numi tutelari di un gruppo “emergente”, rappresenta sicuramente una circostanza attraente e stuzzicante per ogni
rockofilo che possa definirsi tale.
Il difficile è, poi, per gli autori di tale
audace affermazione (prelevata dalla scheda di presentazione del loro esordio), fare in modo che tale diversificato e autorevole concentrato di
genio artistico possa essere prima adeguatamente onorato e poi coordinato in una proposta musicale che appaia tanto coerente quanto personale, rendendo piuttosto concreto il rischio della “brutta figura”.
Diciamo subito che i
Sin' Sound scansano con una certa disinvoltura l’ultima
infausta evenienza e si presentano al pubblico con i mezzi adeguati per gestire un orizzonte creativo ampio e variegato, distillando prospettive sonore che, in effetti, prendono avvio proprio da quegli impegnativi modelli e tentano di miscelarli in un ibrido imprevedibile e seducente.
Non tutto funziona in maniera
incondizionata, perché verosimilmente è necessario un livello superiore di focalizzazione complessiva, ma è sicuramente da rilevare la voglia di “sperimentare” e di distinguersi dei nostri lombardi, piuttosto abili nel far convivere tipologie soniche apparentemente abbastanza “lontane”, in un intrigante
meltin’ pot tra
psichedelia,
hard,
rock sixties,
funky,
blues, il tutto ammantato spesso da una cappa drammatica davvero suggestiva.
Accanto ad episodi riusciti solo a metà (“Celebration of apathy”, dall’enfasi quasi Iggy Pop-
iana) e brani un po’ discontinui (il numero in odore di
blaxploitation “Preparing the journey”, la liquida “I really like you're back”), “From the underground” offre momenti di notevole forza espressiva come la sciamanica “Introduction: from the underground” (Danzig, The Doors e Jane’s Addiction impegnati in un’apocalittica
jam session), la vibrante e scabra “A bad day”, la fosca ”Easy escape from reality” (i Depeche Mode risuonati dagli Hawkwind …) e ancora la fascinosa “New year’s reason to pray” (la James Gang se avesse inciso per la Motown …) e le magnetiche “Elisa” e “Mr. Goodbye”, capaci di condensare le angosce esistenziali di una Janis Joplin, le digressioni siderali dei Pink Floyd e una versione “sotto acido” dei Blues Brothers.
Debutto parecchio interessante, dunque, per un gruppo che sembra in grado di crescere ulteriormente, consolidando le qualità che già dimostra e ampliandole in maniera da inserire le felici intuizioni attuali in un quadro musicale compiutamente equilibrato e avvincente.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?