Questa recensione è il frutto di ascolti ripetuti, massima attenzione ad ogni nota e dotti consulti fra di noi, tanta è l'importanza che rivestono la storica formazione canadese ed il nuovo
Target Earth in particolare. L'attesa per il primo lavoro ad essere interamente composto senza parti scritte dal compianto Piggy era massima, una sorta di prova del nove per capire quale sarebbe stato il reale apporto in fase compositiva del nuovo chitarrista Daniel "Chewy" Mongrain. Senza contare che arriva a sancire trent'anni di carriera. Già me lo prefiguravo nella mia top dieci del 2013. Ma non sarà così, non c'è nulla da fare. Nel nuovo
Voivod Chewy non ha grandi spazi di manovra, nelle sue parti tende ad uniformarsi al suo predecessore e si sente che il songwriting mira a trovare un buon compromesso tra le varie espressioni del gruppo, con un risultato poco spontaneo ed un po' artificiale e, ahimè, pretenzioso. Specchio di questo sono le brutte
Empathy For The Enemy e
Warchaic: la prima è curiosamente commerciale, con un incedere lento e quasi rock, ma è anonima e noiosa; la seconda si perde in eccessivi arzigogoli tecnici e cento cambi di tempo. Lenta e soffusa, sconfina nel prog metal ma fa dormire. E che dire delle scialbe
Resistance e
Kaleidos? Qui non si tratta nemmeno di pretenziosità, ma proprio di mancanza di idee. Sono due pezzi indegni per una band come i Voivod.
Artefact, fra Nothingface e Phobos, è, di nuovo, noiosa. Eppure, in un lavoro in gran parte negativo si trovano due pezzi che possono essere annoverati fra i loro più belli, un gioiellino ed un quarto che in parte risulta comunque fantastico. La
title track omonima, che è anche l'opener dell'album, dopo una classica intro industriale alla Voivod parte con il basso pulsante di Blacky; tutto il brano si regge su una sezione ritmica da urlo, con un incedere spigoloso e saltellante. Le accordature ribassate la rendono cupa; bello il refrain con le sue aperture spaziali, bello il solo di Chewy e le dissonanze che crea, bello il finale arioso. Anche qui si sconfina nel prog ma il risultato è imponente. Subito a seguire,
Kluskap o’Kom sembra scritta appositamente perché vi spezziate le ossa in un pogo furioso e perdiate la voce gridando il refrain. thrash/punk veloce, echi da Infini. A fare il paio c'è
Corps Etranger, uptempo che vi finirà, se con la precedente siete rimasti ancora in piedi barcollanti; cambi di tempo, break progressivi, dissonanze. Ciliegina sulla torta il cantato in francese che accentua il sarcasmo della voce maligna di Snake.
Mechanical Mind è il primo singolo estratto da Target Earth e riprende i classici stilemi Voivod, con un thrash dissonante e futuristico. Strutture complesse ed una infinità di cambi tempo: siamo in territorio Nothingface, The Outer Limits. Pezzo riuscito curiosamente a metà: la prima parte è pretenziosa, sfuggente e noiosa, poi prende il volo e diventa strepitoso. Ultima traccia è l'outro
Defiance. In tutto l'album il basso di Blacky è messo in primo piano, come se lo avesse prodotto lui (e, per i miei gusti, questo non rappresenta davvero un difetto). Questo è quanto. I quattro brani sopracitati (ad esclusione di Corps Etranger, avevo già avuto modo di apprezzarli nella data dal vivo al Bloom ad Ottobre 2012) salvano Target Earth dal flop totale, rendendolo solo una mezza delusione e già mi costa tanto dover scrivere una cosa del genere. E, siccome con i Voivod nulla è mai lineare, sempre grazie alla loro presenza candideranno la band al poll di quest'anno non solo in negativo ma anche come migliori brani del 2013. Away, perché mi fai questo? Perché? Spero di avere l'opportunità di chiedertelo di persona e vorrei anche che mi rassicurassi sul fatto che questo sia un album di assestamento e che ci sarà un successore con non quattro ma tutti i brani all'altezza della vostra gloria. Anche perché, lo confesso: non potrò fare a meno di comprare lo stesso Target Earth e, come me, probabilmente, tutti i fan in attesa che esca. Sogna, Laura... Comunque, sono curiosa di vedere come sarà accolto. La copertina, sempre ad opera di Away, è una reinterpretazione di quella di War and Pain del 1984.