Eccolo qui il colpo di coda del 2012.
"Nine Waves from the Shore", debut album degli irlandesi
Celtachor, è un regalo inaspettato, giunto in sordina sulla mia scrivania ed entrato nel mio lettore per non uscirne, già lo so, per un bel pezzo.
I
Celtachor nascono nel 2007 e, leggendo la loro biografia, sono diventati un progetto "serio" solo nel 2010 anno di pubblicazione del loro secondo demo,
"In the Halls of Our Ancient Fathers", che già mostrava le doti di un gruppo alla ricerca della sua identità, ma che aveva comunque una personalità ben definita ed un obiettivo preciso da raggiungere.
Dopo quell'esperienza, i nostri sono ulteriormente cresciuti fino a giungere al loro debut,
autoprodotto, oggetto della mia attenzione.
Il suono del gruppo di Dublino si colloca in un ideale crocevia di emozioni che vanno dall'epicità dei
Primordial alla violenza dei
Cruachan, certamente il punto di riferimento più prossimo alla proposta dei nostri, passando attraverso ricami folkloristici cari a gruppi come
Darkest Era o
Waylander, il tutto fuso e poi forgiato in un suono duro, aggressivo, pagano e dannatamente coinvolgente al quale risulta davvero impossibile resistere.
"Nine Waves from the Shore" è un album in cui il folk irlandese, che non è mai invasivo o predominante, viene indurito attraverso una musica oscura e carica di passione che spesso sfocia in un black metal fortemente evocativo e dalla prorompente carica epica.
Il suono del flauto, dolce e carezzevole, si contrappone al muro di chitarre che innalzano verso il cielo inni di pura bellezza e mai sopito orgoglio che sembrano urlare la fierezza di un gruppo, e probabilmente di un popolo, legatissimo alla sua terra ed alle sue tradizioni.
Brani come la spettacolare
"The Kingship of Bodb Dearg", in cui la melodia dei flauti e la violenza dello scream e delle sei corde descrivono passaggi battaglieri come nemmeno un film di antichi cavalieri riuscirebbe a fare, o la lunga
"Sorrow of The Dagda", nella quale la magia del suono diventa davvero palpabile, ci danno uno spaccato della bellezza di un album che va, in ogni caso, gustato dall'inizio alla fine, senza pause e senza ripensamenti al fine di coglierne le infinite sfumature ed i diversi umori che ne costituiscono il cuore pulsante e sanguinante.
"Nine Waves from the Shore" ci offre, dunque, un gruppo del quale sentiremo parlare a lungo, capace come è di saper dipingere con una musica semplice e diretta tutta la magnificenza ed il mistero della mitologia irlandese di cui i nostri si fanno cantori sinceri ed appasionati.
Proprio la passione che trasuda da ogni singolo passaggio, ascoltate ad esempio il dolcissimo strumentale
"Tar Éis An Sidhe", è la forza maggiore di un lavoro magnifico, un lavoro violento e delicato al tempo stesso, un lavoro in cui la melodia non è studiata a tavolino ma sgorga, incontenibile, dai cuori di questi ragazzi, e ragazze, dato che alla batteria abbiamo una bella e brava signorina, completamente devoti alla causa e palesemente innamorati della loro musica.
Ed in un mondo fatto di plastica e falsità, amare quello che si fa è garanzia di qualità.
Grandissimi.
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