"Welcome to my dark kingdom behind the sun"
Difficile trovare, soprattutto nel panorama estremo della musica metal, una band che a distanza di oltre 25 anni dalla sua fondazione abbia ancora qualcosa di interessante da dire.
Così su due piedi mi viene in mente il nome degli
Enslaved.
E i
Rotting Christ.
Ovviamente.
"Κατά τον δαίμονα εαυτού" (“Do What Thou Wilt” in inglese) è l'undicesimo album dei greci, EP esclusi, nonché la conferma che quando si ha talento e passione, vera passione, l'età non conta e la musica continua ad essere di grande livello nonostante i decenni passati a suonare sui palchi di tutto il mondo e a comporre dischi su dischi.
Il nuovo parto della mente di
Sakis Tolis, che insieme al fratello
Tolis trasforma il gruppo in un duo, è, a ben guardare, l'ideale crocevia dei due lavori precedenti, quei
"Theogonia" e
"Aealo" che tante reazioni positive avevano suscitato tra la stampa specializzata e i supporter in giro per il globo, ed è dunque un album epico e melodico, come i suoi predecessori, anche se più denso ed oscuro.
Sin dall'artwork è evidente, infatti, l'intenzione dei
Rotting Christ di offrirci un suono nero, cattivo, che ben si sposa con le tematiche incentrate sulla demonologia di varie culture come quella sumera, russa, romena, inca o voodoo, andando in questo modo a dipingere scenari che se da un lato mantengono quel pathos epico e quasi folkloristico dei lavori immediatamente precedenti, dall'altro ci sbattono in faccia una rabbia, ascoltate la magistrale prova vocale di Sakis, ed una puzza di zolfo di fronte alle quali si resta, ancora una volta, a bocca aperta.
Tutti i brani di
"Κατά τον δαίμονα εαυτού" risultano essere omogenei, compatti, fondati su strutture più o meno similari: i
Rotting Christ sembra abbiano voluto consegnarci un unico monolite oscuro, una unica colata di metal estremo che non ha intenzione di piegarsi a nessuna moda e che resta, badate bene, personale al 100%, qualunque sia la direzione che il gruppo sceglie di intraprendere.
E questa volta il death/black dei nostri ha deciso di puntare tutto sull'impatto, sui tempi cadenzati, sebbene non manchino mortifere accelerazioni, su un taglio quasi monastico/evocativo del suono, tutti elementi che vengono abilmente sottolineati da una produzione semplicemente perfetta e da un songwriting ispirato dall'inizio alla fine.
Probabilmente questo ritorno sulle scene dei
Rotting Christ non raggiunge i vertici di
"Aealo", album che mi aveva letteralmente impressionato, ma segna in ogni caso nuovi standard di qualità ai quali fare riferimento nell'ottica di suonare estremi e melodici al tempo stesso. Del resto ascoltare autentiche gemme come l'opener
"In Yumen - Xibalba", violentissima traccia nella quale Sakis urla tutta la sua furia per poi placarsi su cori maschili altamente evocativi,
"Gilgameš", che incede maestosa ed epica o la sulfurea
"Grandis Spiritus Diavolos", che riprende le geniali intuizioni presenti su
"Theogonia" plasmandole in una chiave nuova perché più tetra, resta sempre un piacere per le orecchie.
Così come ascoltare i bellissimi assolo di chitarra, gli onnipresenti cori quasi religiosi che sostituiscono le voci femminili di
"Aealo", addentrarsi nei racconti maledetti dei testi ed assaporare questa musica così mediterranea, così calda e così maligna, resta una esperienza avvincente ed appagante.
Una esperienza, consiglio mio, da fare al buio, da soli e con le cuffie, per cogliere tutte le sfumature del suono
Rotting Christ e goderne.
Una esperienza, e qui chiudiamo il cerchio, che dopo 25 anni vale ancora la pena di vivere.
Assoluti maestri.