Disco sopraffino.
Non credo esista definizione migliore per “Bad mad man”, il secondo lavoro solista di
Sven Larsson.
Con il contributo di amici e colleghi di certificata qualifica artistica, il chitarrista degli
AOR-sters Street Talk, ma noto anche per la militanza in Galleon e Xinema (e per importanti collaborazioni … Lionville, Coastland Ride, Sapphire Eyes, Charming Grace …), con cui ha frequentato pure territori maggiormente
progressivi, consegna a questi cinquantun minuti di raffinate vibrazioni sonore tutta la cospicua dotazione di
feeling, tecnica e versatilità che possiede e che lo rendono uno dei musicisti più sensibili dell’intera comunità melodica.
Qualcuno si stupirà per un’affermazione così “impegnativa”, soprattutto perché il nome del nostro non è forse uno di quelli particolarmente
cool all’interno di una scena molto (ben) frequentata, eppure sono sufficienti anche solo un paio di ascolti dell’albo in questione per rendersi conto della classe, del talento e della scintillante preparazione di Larsson (e dei suoi sodali ...), tra l’altro qui impegnato con profitto, in talune situazioni, anche nel canto.
Un altro aspetto piuttosto evidente è che questo Cd rimarrà probabilmente un prodotto
elitario, poiché pur evocando di frequente le delizie sonore dei Toto (mescolate con la grazia della Michael Thompson Band, il tocco sofisticato degli Steely Dan, l’aristocratica
adultness dei GTR, un pizzico della spiritualità di certi Kansas e addirittura qualcosa di Al Jarreau …), è quasi completamente privo di quella “malizia commerciale” che ha spesso reso questi ultimi degli impareggiabili
hitmakers, risultando alla fine un paradigma di eleganza non straordinariamente
trendy.
Questo non significa assoluta mancanza di energia o insormontabili problemi di “comunicazione”, anzi in un paio di casi il suono s’irrobustisce fino ai confini dell’
hard-rock (la splendida “Sin city”, con un grande Goran Edman, la stessa
title-track, nonostante la sua atmosfera complessiva vellutata e notturna) o scandaglia efficacemente i terreni adatti all’
airplay adulto ("Dance the night away”), ma anche in questi casi il tasso di “ruffianeria” è costantemente assoggettato a quello dell’intensità espressiva.
Chi vorrà concedere i suoi favori
cardio-uditivi a “Bad mad man” ne riceverà ampia e profonda gratificazione, in graduale e costante incremento ad ogni nuova audizione, la quale svela sfumature e piccoli anfratti emotivi sempre sorprendenti e appaganti, grazie a composizioni trasognate e vaporose (“How could it come to this”), fluttuanti, esotiche e magiche (“Missing link”), levigate e
jazzy ("Look the ghost in the eyes”, "The house upon the hill” e l’incantevole "Castle of mine”, con i suoi bagliori
prog-AOR), che solo sporadicamente rischiano di apparire leggermente stucchevoli (“Forever you & me”).
Gli estimatori di Steve Lukather, Neal Schon, Martin Landau ed Eric Johnson potranno, inoltre, ritrovare molte delle scintillanti peculiarità tecnico-interpretative dei loro beniamini anche in un paio di suggestivi strumentali (“Green unit” e "Welcome to my island”), a completamento di un lavoro da considerare pura
ambrosia per i palati più
chic e delicati.
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