I Motley Crue che suonano
prog-metal con i Medication … oppure dei Megadeth infatuati di
crossover … o ancora Alice Cooper in uno dei suoi più riusciti esempi di trasformismo “attualizzato” …
Di questo passo si potrebbe continuare a lungo, nell’
iperbolico tentativo di trovare comparativi utili a descrivere l’essenza dei
Twintera, ma il “giochino”, pur divertente (almeno per chi scrive, spero anche per chi legge …) e magari in parte utile e stuzzicante, difficilmente riuscirebbe a delineare efficacemente la personalità “multipla” di una formazione davvero sorprendente, per come sa gestire una materia musicale ampia e variegata con eccezionale temperamento ed estro, ostentando una disinvoltura francamente
inusitata, soprattutto per una
band agli esordi.
Notevole cultura e perizia tecnica, nessuna paura in accostamenti “temerari” o in rischi di “lesa maestà” (e fra un po’ affronteremo meglio la questione …) e, sopra di tutto, un gusto sopraffino negli assemblaggi melodici, rendono il quintetto veronese un esempio da ricordare quando ci si “dispera” per la mancanza di “originalità” di una scena musicale emergente di buonissimo livello medio e tuttavia spesso fin troppo prevedibile.
Insomma, seppur abbastanza rare, le “speranze” ci sono, per fortuna, e nello specifico assomigliano molto ad una “certezza”, poiché in “Lines” non troverete in pratica nessuna delle “ingenuità” tipiche di un gruppo “nuovo” impegnato a costruirsi un “proprio” suono attraverso la difficile arte della contaminazione.
Pilotati dalla squillante voce Vince Neil-
iana di Fabio Merzi, i Twintera spaziano nei generi e nel tempo, indagano, scavano, memorizzano, fagocitano il meglio di oltre trent’anni di
rock n’ roll e risputano una manciata di brani costantemente emozionanti, nervosi e intriganti (“By hand of justice”), incisivi e
thrash-osi (“Where we land” e “On the edge of ...", “Killing your feelings” e l’incredibile "Bunch of motherfuckers”, un vero ottovolante di stili …), squisitamente malinconici (“Waves” e “Oversight”, con lo special guest Tom S. Englund degli Evergrey … un pezzo di enorme suggestione …) e “classicamente” imprevedibili (“Cool 18”, "Run!”).
Per quanti intendono il concetto di
cover version come rilettura personale al limite dello “stravolgimento” dell’originale ed individuano nella forza espressiva la “cartina al tornasole” del peculiare risultato, “Burning heart” rappresenterà, infine, un autentico
balsamo sonico, da sottoporre (con una certa cautela …) pure agli
inflessibili sostenitori dei Survivor, nella speranza che pregiudizi e sentimenti “eccessivamente” radicati non ne ottenebrino le facoltà di giudizio.
Maturo, coinvolgente, accattivante e piuttosto innovativo, un bel modo per “ribellarsi” alla mediocrità … di quali altri fondamentali incentivi c’è bisogno per impossessarsi senza indugio di “Lines”?
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