Gulp... Fatemi riprendere un attimo... Devastante, non ci sono altri termini; per una volta un'attesa che vale la pena di ognuno dei cinque anni passati. Il nuovo album del geniale collettivo di Umea porterà il gelo dell'inverno che vedete fuori dalla finestra nelle vostre case, finché anche il vostro cuore non comincerà a ghiacciare. Non che i
Cult of Luna siano mai stati particolarmente solari come musica, ma stavolta sono veramente desolati e desolanti.
Vertikal, fin dalla copertina, vuole essere un commento al celeberrimo Metropolis di Fritz Lang, proseguendo la riflessione sui temi che tanto stanno a cuore alla band: la società industrializzata, la natura e l'ambiente, il rapporto dell'uomo con essi e con la solitudine. L'intro
The One ha suoni a metà tra il post noise e l'ambient elettronica e sembra proprio esser tratto dalle visioni futuristiche del film, lanciandoci dentro
I-The Weapon senza nulla che attutisca l'impatto. Il primo singolo estratto dall'album esplode in un post rock cupissimo, con squarci sulle malinconiche aperture melodiche degli ultimi Katatonia, e angoscianti rumorismi industriali. Il lato oscuro della spinta alla verticalità: le torri dei grattacieli che svettano; gli operai in piedi, simili ad automi, in gruppi anonimi; le macchine. La hybris nel senso più classico ed il suo contraltare. I sei minuti di prologo della lunga
Vicarious Redemption (diciannove minuti), con un sottofondo minimale ma continuo di percussioni, creano una tensione che si espande nel resto del pezzo, in cui ritorna il solo di chitarra reiterato fino alla fine che abbiamo sentito per la prima volta in Ghost Trail. L'incedere è lento, catastrofico, poi al minuto otto entra inatteso un ritmo electro dub, che imprime un'accellerata e sfocia nelle visioni disperate che il riffing di chitarra, melodico ma teso, riprende, di nuovo, dai Katatonia.
The Sweep è un intermezzo con grida distorte, suoni computerizzati, esplosioni noise e singoli accordi di chitarra riverberati nello spazio.
In Awe of è il pezzo che più si avvicina alla band
di Blakkheim, sempre mescolandola con gli altri elementi presenti nell'album.
Disharmonia è un altro intermezzo inquietante con un pianoforte che suona solo alcune singole note su una base formata da una singola frequenza sonora distorta.
Passing Through introduce per la prima volta un cantato diverso dalle grida agghiaccianti degli altri brani, ma il clean vocal serve solo a sottolinearne la malinconica desolazione. Il pezzo è composto di un unico riff ripetuto con variazioni tonali ed una sorta di trillo di sottofondo, una specie di campanella; alla fine si aggiungono altre voci ed il cantato diventa solo un intonare la melodia di base. C'è un senso di fatalità, come se la catastrofe si fosse compiuta. Vertikal, in mezzo alle sue sperimentazioni ed al classico Cult of Luna style, riprende anche le (poche) buone intuizioni dei Katatonia dell'ultimo periodo, sviluppandole come loro non hanno saputo fare e, ahimè, nemmeno sognano di fare. Ho idea che diventerà un punto di riferimento per gli altri gruppi, oltre che una sorta di "album perfetto" nella propria discografia da cui la band dovrà ripartire per sviluppare nuove strade.