Bella prova per gli esordienti
RocKrash, autori di un godibilissimo dischetto autoprodotto di
hard-rock caratterizzato da una sorprendente maturità nelle costruzioni melodiche e nella ricerca di una certa “orecchiabilità” nei ritornelli, conservando al contempo incisività e forza espressiva.
Non offrono nulla di particolarmente “nuovo”, i lombardi, ma risultano assai efficaci nel far “girare” gli elementi distintivi del genere, apparendo stabilmente credibili nell’interpretare con intelligenza e freschezza gli insegnamenti della “tradizione” e svelando un gusto compositivo di notevole valore, lontano dalle finzioni o dagli espliciti tentativi di emulazione.
Edificati sulle eccellenti le chitarre di Dan, sulla gradevole voce di Genny e su un’affidabile sezione ritmica, i brani di “No place to hide” piacciono perché sono “naturalmente” accattivanti, sfruttano con acume le immarcescibili “regole del gioco” e si rivelano al “mondo” privi di quel senso di artificiosità che invece inficia di frequente le produzioni dei gruppi emergenti.
Ci sono ineluttabilmente ulteriori margini di crescita, soprattutto nell’abrogazione di qualche sporadica ripetitività armonica, e tuttavia i RocKrash dimostrano fin da subito rilevanti capacità di scrittura, peculiarità che li rende spesso discretamente creativi (l’articolata “Enough” o anche certe sfumature di “China park” e della stessa
title-track, i momenti più significativi di tale attitudine …) oltre che costantemente coinvolgenti (la spigliatezza di “Shorter way to hell” e di “Stroke of destiny”, la passionalità
bluesy di “Star in the dark” e di “Emotion in veins”, che diventa
groove irresistibile in “Mr. Universe” e in “Desperate geniality”, si lasciano preferire in un programma complessivo comunque esente da autentiche estromissioni …).
Sound brioso e ispirato per una
band da promuovere senza indugi e da seguire con grande attenzione nel suo futuro cammino artistico.
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