Per molti
fans dell’
hard-rock blues, i Whitesnake più “veri” e genuini sono quelli in cui un David Coverdale non ancora iper-ossigenato e cotonato si “accompagnava” con Micky Moody, Bernie Marsden, Neil Murray e Jon Lord, realizzando il perfetto connubio tra Deep Purple e Bad Company.
A questi
musicofili (dalle opinioni piuttosto condivisibili, invero, anche se personalmente adoro pure gli ’Snakes “americani” …), che magari hanno poi continuato a seguire con entusiasmo la parabola artistica di parte di quei protagonisti in altre formazioni aventi la medesima ispirazione (The Moody-Marsden Band, The Snakes, Company Of Snakes, …), è precipuamente indirizzato questo nuovo progetto denominato (… tanto per non perdere la
nobile e
adescante filiazione “serpentesca” …)
Snakecharmer, in cui gli storici Moody e Murray ripropongono l’antico gusto tipicamente “britannico” di quell’immarcescibile suono.
A sostenerli nell’impresa, altri importanti personaggi della scena come Laurie Wisefield (Wishbone Ash, Tina Turner), Harry James (Thunder, Magnum), Adam Wakeman (Ozzy Osbourne, nonché figlio di cotanto padre) e Chris Ousey (Heartland), tutta “gente” che per
curriculum e attitudine ha i mezzi necessari per risultare credibile e sostenere brillantemente uno dei punti nodali dell’intera questione: l’autenticità.
Del resto, era “oggettivamente” improbabile un risultato diverso, per un disco di notevole valore complessivo, pieno di passione e di calore, a cui manca davvero poco per soggiogare irrimediabilmente i sensi degli appassionati del genere.
Eh, già, perché
qualcosina non ha funzionato a dovere … sarà per una fase compositiva non sempre perfettamente focalizzata (Wisefield riesce a non far rimpiangere troppo il mitico Bernie Marsden “solo” sotto il profilo esecutivo …), per una prestazione canora di Ousey di considerevole spessore (almeno se vi piacciono Rodgers, Gramm, Coverdale, Martin, …) eppure talvolta vagamente di “maniera” o più
semplicemente per un paragone con i Whitesnake “originali” tanto inevitabile quanto improbo, ma “Snakecharmer” pur mantenendo eccellenze tecnico-interpretative e
standard emotivi di buonissimo livello, sconta qualche piccola manifestazione di formalismo che gli impedisce raggiungere le misteriose profondità della sollecitazione sensoriale assoluta.
Nulla di particolarmente “grave”, in realtà, e sono sicuro che sarà sufficiente l’ardore viscerale delle levigate e intense “My angel”, "Accident prone”, "A little rock & roll” e della ballata “Falling leaves” (che a tratti ricorda “Still loving you” degli Scorpions …), e ancor di più la tangibile tensione di “Turn of the screw”, di "Smoking gun”, della Bad Company
meets Foreigner "Stand up” e della torrida "Guilty as charged”, in cui l’albo raggiunge la sua acme, per procurare imperiosi brividi di approvazione a tutti gli
aficionados del genere.
In ultima analisi, si può tranquillamente essere ampiamente soddisfatti degli Snakecharmer, un (super)gruppo in grado di camminare “
in the shadow of the blues” a testa alta, nella speranza che in futuro possa rendere ancora più appassionato il suo sentiero, ben sapendo che da queste parti non ci si riesce ad “accontentare” tanto facilmente … come dire … “
can’t get enough” …
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