Cosa accadrebbe se in un futuro più o meno lontano, la razza umana scivolasse verso l’estinzione? Quali potrebbero essere le reazioni, i pensieri, le riflessioni degli ultimi sopravvissuti, isolati nella loro solitudine e consci della fine inevitabile? Queste le gioiose tematiche che hanno ispirato il presente lavoro, esordio dei giovani ferraresi
InSpiral.
Musicisti capaci, indubbiamente, ma forse alle prese con un progetto fin troppo profondo ed ambizioso per una formazione che vanta appena un paio d’anni di vita.
Nei nove brani troviamo elementi di ogni genere: il post-rock, gli arrangiamenti classici, il metal alternativo, i Pink Floyd (stra-citati negli ultimi tempi, questione di riflussi storici… nda), Tool e Opeth, l’ambient, l’elettronica, il progressive antico e moderno, ed altro ancora. Nulla di male, a patto che alla fine restino delle emozioni e non soltanto una bella estetica. Come quelle donne stupende ed ammirate, che una volta conosciute si rivelano piacevoli involucri vuoti.
In questo “Habitat”, invece, di sostanza ce n’è anche in esubero. Tanti bei passaggi strumentali raffinati, tecnicismi alla Porcupine Tree, atmosfere struggenti e seriose, sampler introduttivi legati alle storie dei singoli episodi, particolarismi sofisticati e concettualità intellettuale. Manca però qualcosa che tenga avvinghiati, momenti di vera tensione drammatica, di pathos, di eccellenza melodica, che restino fissati nella mente dell’ascoltatore.
Idee e capacità ci sono, ciò va detto. Ma sono state applicate ad una dimensione eccessivamente algida e cerebrale, pur se con aspetti interessanti. Gli InSpiral centrano l’obbiettivo solo in parte, ma si dimostrano comunque musicisti preparati e con potenziale di crescita.
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