Questa volta parliamo di un personaggio addirittura leggendario, assoluto protagonista della grande stagione del rockblues bianco nella seconda metà degli anni ’60:
John Mayall.Nato a Macclesfield, sobborgo di Manchester, il 29 novembre 1933, John conobbe il blues ed il jazz moderno grazie al padre, musicista dilettante e collezionista di dischi. Giovanissimo, studia piano e chitarra ed ancora minorenne mette in piedi la sua prima band. All’inizio dei sixtiees milita nei Blues Syndicate di Alexis Korner, altro monumento britannico, che lo spinge verso la carriera artistica. Infatti Mayall fonda i Bluesbreakers, una delle formazioni più influenti della prima era del rock. Tanto per dare l’idea dell’importanza di questo musicista come scopritore di talenti, ecco alcuni nomi transitati alla corte del bluesman inglese: Eric Clapton, Jack Bruce, Mick Taylor, Mick Fleetwood, John McVie, Ansley Dumbar, Pete Green.
Durante il periodo ‘64-‘68 Mayall pubblica per la Decca una serie di lavori che rappresentano il più alto esempio di rockblues e rhythm’n’blues mai realizzati da un’artista europeo, sia per qualità che per innovazione. In particolare il 1968 fu un anno glorioso, uscirono infatti ben due dischi dal vivo (“Diary of a band volls. I e II”), alcuni singoli di successo come “Picture on the wall” e “No reply”, ed il seminale album “Bare wires” (3° posto della classifica inglese) dove viene esplorata la commistione tra blues tradizionale e jazz rock. Sicuramente uno dei momenti più alti nella carriera di questo artista.
Ma nel luglio dello stesso anno Mayall, sorprendendo tutti, scioglie la più recente e fortunata incarnazione dei Bluesbreakers, dove al momento militava gente come Jon Hiseman, Dick Heckstall-Smith e Tony Reeves, che qualche mese dopo formeranno i celeberrimi Colosseum. La nuova line-up comprende il geniale chitarrista Mick Taylor, che entrerà poi nei Rolling Stones, ed una ritmica formata dal bassista Steve Thompson e dal potente batterista Colin Allen, già con gli Zoot Money.
Il quartetto si trasferisce per circa un mese in California, nella zona del Laurel Canyon, dove comporrà tutto il materiale del presente album, ispirato dagli spazi aperti e dalla natura selvaggia del luogo ma anche dalla “movida” di Los Angeles. La registrazione avverrà poi a Birmingham in soli tre giorni, tempistica normale per l’epoca, tra il 26 ed il 28 agosto 1968.
A dispetto della velocità di realizzazione, i brani sono di altissima qualità. Viene completamente abbandonata l’impostazione sperimentale di “Bare wires”, che sarà invece portata al massimo splendore dai Colosseum di “Valentyne suite” uscito l’anno seguente, per un profilo più tradizionale giocato sulla voce acuta e sull’armonica del leader, sugli esplosivi assoli di Taylor (torrenziale nei nove minuti di “Fly tomorrow”) e sulla solida sezione ritmica. Da segnalare il proto-rock “Vacation” che narra dell’arrivo di John a L.A., il classico R&B “Walking on sunset”, la vellutata nostalgia di “Laurel Canyon home”, ed ancora “2401” dedicata a Frank Zappa e “The bear” che invece omaggia il vocalist Bob “Bear” Hite dei Canned Heat, con i quali Mayall stringe amicizia proprio in quei giorni. Da notare che l’inizio del brano richiama il riff di “On the road again”, lo storico hit della formazione americana. Altre canzoni notevoli: “Miss James” dove protagoniste sono le tastiere di Mayall e “First time alone”, altro rockblues antologico con la partecipazione dell’ospite Peter Green (fondatore dei Fleetwood Mac) alla chitarra.
Il disco entrerà in classifica sia in patria che negli Usa, anche se non raggiungerà il successo del precedente. In seguito, dopo il solito viavai di musicisti, Mayall proverà la carta della sperimentazione mettendo insieme una line-up priva di batterista e di lead guitar, poi lascerà la Decca accasandosi alla Polydor e dando vita ad una monumentale carriera che lo vedrà ancora sul palco nel 2003 per festeggiare i suoi settant’anni.
Ovviamente siamo di fronte a sonorità di tempi ormai molto lontani, almeno sotto il profilo stilistico e tecnologico, ma ciò non toglie che i rockers interessati alla storia di tale genere musicale debbano per forza conoscere e comprendere le sue radici e la sua genesi, che obbligatoriamente passano attraverso il blues elettrificato di John Mayall, dei Cream, di Hendrix, dei Blue Cheer e di molti altri pionieri più o meno celebrati.
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