Ascolti “Youngblood” degli
Audrey Horne e la prima impressione è che il morbo del “vintage” al quarto “attacco” abbia perfezionato i suoi effetti infettivi.
I segni inequivocabili di una certa passione per la “tradizione” si erano, infatti, già manifestati anche nei dischi precedenti, ma è innegabile che in questo primo albo per la Napalm Records i norvegesi abbiano dato libero sfogo a tutte le loro pulsioni più “classiche”, relegando gli influssi “moderni” (
grunge,
alternative, …), che pure avevano reso così intrigante la loro proposta, a sporadiche, sebbene non marginali, suggestioni uditive.
Opportunismo o reale esigenza artistica (magari entrambe …), quello che conta,
in fondo, è il risultato, soprattutto perché il gruppo appare assai a suo agio in questo clima sonoro in piena celebrazione dell’
hard n’ heavy tra
seventies ed
eighties, dimostrandosi in grado di sfidare senza troppi timori i grandi protagonisti odierni del
rock di stampo
revival-istico.
Ci sono forza e gusto espressivo nelle composizioni degli Audrey Horne, e se vi piacciono la
NWOBHM e l’
hard rock viscerale non farete fatica ad apprezzare il ricco contenuto di questo Cd, in cui Budgie, Thin Lizzy, Deep Purple, Saxon e Aerosmith sembrano “rivivere” attraverso le mosse sagaci e competenti di un manipolo (iper-tatuato) di loro devoti estimatori.
“Redemption blues”, in tale contesto, appare un’opener davvero perfetta: il "tiro" del
british metal e delle sue
twin-guitar armonizzate si fonde con una linea melodica avvincente, pilotata con intraprendenza dall’ottimo Toschie, cantante di “razza” dalle capacità interpretative sempre appropriate e convincenti.
“Straight into your grave” sfrutta in pratica la medesima formula, ma un pizzico di superiore “affabilità” vocale mi ha fatto immaginare, a tratti, di assistere ad un’improbabile
jam-session tra R.E.M. e Saxon (ok, forse ho bisogno di riposo …).
L’
hard-blues della
title-track, e il trattamento “rinfrescante” che i nostri applicano al
nobilissimo genere, rappresentano un altro momento importante di una raccolta che con “There goes a lady” si colora vividamente di
Porpora, con la frizzante “Show and tell” ammalia all’istante e con “Cards with the devil” aggiunge all’impasto sonico un suggestivo influsso di matrice
prog, veramente coinvolgente.
A rendere ancora più completo lo scenario commemorativo del
rock settanta-ottantiano, mancava ancora il contributo disinvolto dello
sleaze, ed ecco che "Pretty little sunshine” sembra voler colmare la lacuna, mentre tocca a “The open sea” sorprendere l’astante con una miscela straordinaria di Masters Of Reality, Deep Purple e A Perfect Circle, sottolineando l’abilità della
band nel far convivere “vecchio” e “nuovo”, una qualità rara probabilmente non sfruttata in maniera pienamente adeguata.
Chiusura riservata alla vaporosa “This ends here”, forse la meno efficace del programma, e a “The king is dead”, che, invece, riserva un altro interessante esempio di “contaminazione” ragionata, fascinosa nel suo incedere magniloquente e ad “ampio respiro”.
“Youngblood” arriva a confermare il ruolo significativo degli Audrey Horne nell’ambito del panorama musicale contemporaneo, identificando al contempo, con buona probabilità, il terreno migliore (
accidentalmente anche uno dei più apprezzati dal
business discografico attuale …) per veder germogliare la loro notevole personalità, che vorremmo ancora più rigogliosa … molto bravi, comunque.