Copertina 7

Info

Anno di uscita:2004
Durata:47 min.
Etichetta:CIC Records
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. THE CALLING
  2. CASABLANCA
  3. I’M ALIVE
  4. AMERASIANS
  5. LOVE LIES BLEEDING
  6. D.O.A.
  7. MARIONETTES
  8. DON’T SAY GOODBYE
  9. HOW DOES IT FEEL
  10. TWILIGHT’S LAST GLEAMING
  11. I BELIEVE

Line up

  • Gary John Barden: vocals
  • Bruce Bisland: drums, vocals
  • Jeff Summers: guitars, vocals
  • Martin Mikkels: guitars, vocals
  • Jeff Brown: bass, vocals

Voto medio utenti

Dopo una “breve” pausa di “soli” 17 anni, ritornano, con “The calling”, gli Statetrooper di Gary John Barden. Il gruppo nasce, infatti, nel 1985, quando il già citato singer inglese, reduce dai fasti di qualche anno prima con il Michael Schenker Group, culminati con uno dei più bei dischi dal vivo della storia dell’hard rock, “One night at Budokan”, recluta il dinamico batterista Bruce Bisland (entrambi saranno futuri collaboratori dei Praying Mantis), i chitarristi Martin Bushell, Jeff Summers e il bassista Jeff Brown, tutti, in quel momento, freschi dell’esperienza con i Wildfire. Due anni più tardi uscirà il loro debutto autointitolato, il quale riceverà benevole recensioni ed apprezzamenti, fino ad essere definito, in modo forse un po’ troppo generoso, come la “salvezza della musica rock britannica”.
Nel 2003 l’etichetta Escape decide di ristampare proprio l’omonimo esordio degli Statetrooper, facendo circolare nuovamente il nome della band, tanto da convincerli a riformarsi, con una line-up che vede, oltre agli originari componenti (sebbene il bass player Jeff Brown venga accreditato come uno special guest), l’ingresso del buon talento chitarristico di Martin Mikkels. Jeff Summers spiega questo ritorno come una vera necessità artistica e “spirituale”, in quanto afferma: “ … ci siamo resi conto che c’era qualcosa che ci mancava nelle nostre vite … e quel qualcosa era il gruppo …” e di fronte a motivazioni così “forti” come si può dubitare della sincerità di questa scelta? Siano queste le ragioni o si tratti di un come-back dettato dal rinnovato interesse commerciale nei confronti di un certo hard rock “tradizionale”, ancor meglio se eseguito da “vecchie glorie”del settore (recentemente abbiamo assistito a moltissime operazioni analoghe), poco importa … l’unica cosa essenziale è che questo “The calling”, alla fine, sia un buon esempio di hard melodico, un po’ “vecchio stile”, suonato da eccellenti musicisti, che fanno tesoro dell’esperienza maturata negli anni e che ci fanno tornare prepotentemente ai suoni anni ’80.
Due parole su Gary Barden: il cantante britannico è stato spesso criticato e definito come mediocre… a me personalmente il suo timbro caldo, che talvolta ricorda Ian Gillan (seppur con qualche ottava in meno) è sempre piaciuto parecchio, sebbene l’unica occasione in cui ho potuto verificare le sue capacità dal vivo sia stata durante il Monsters of Rock del ’98, in cui era ospite “a sorpresa” di Michael Schenker; anche in quel caso (benchè forse il mio giudizio fosse “annebbiato” dalla spinta emozionale), mi è sembrato che le sue corde vocali se la cavassero più che egregiamente … e poi come dimenticare che fu definito da “sua maestà” Michael Schenker, ai tempi della sua entrata nel MSG come “l’unica voce affascinante esistente in Inghilterra” … ok, forse Mr. “mad-axeman”, come suo solito, esagerava un po’, ma ciò non toglie che Gary (ricordiamo anche la sua prova con i recenti Silver), pur non essendo dotato di un’estensione stratosferica, rimanga sempre un buonissimo vocalist, in possesso di uno stile abbastanza caratteristico e che in questo disco la sua ugola sembri essere più in forma che mai.
L’inizio del disco, con la title-track, è decisamente scoppiettante: pulsante hard d’ispirazione eighties e splendida costruzione armonica nel chorus, per non parlare dell’arena rock di “Casablanca”, con un ottimo guitar work, solo dagli echi orientali e Barden in evidenza o dell’ammaliante melodia di “I’m alive”. “Amerasians” si segnala per un riff di chitarra interessante, ma la struttura corale un po’ troppo “leggera” ne limita il risultato finale, mentre sono da valutare come dicretamente convincenti le ballate del platter: l’orchestrale “Love lies bleeding” e “Don’t say goodbye”, con un Barden sufficientemente ispirato, sebbene il tutto sia leggermente troppo prevedibile. Con “D.O.A.”, ritorna l’hard rock adrenalinico sempre iniettato di melodia, di cui gli Statetrooper sono ottimi interpreti, in una delle tracce più riuscite del disco, insieme all’aggressiva “Twilight’s last gleaming” dall’illuminato rifferama appannaggio della coppia Summers/Mikkels. Non male anche la linea melodica “fischiettata”, easy e spensierata di “Marionettes” e buoni sono il mid-tempo accattivante di “How does it feel” e la chiusura elettro/acustica di “I believe”, con tocco zeppeliniano e una passionale esibizione vocale.
Non è il caso di gridare al miracolo (musicale), ma, “The calling”, come dicevo prima, è un onesto e concreto lavoro di hard rock (con parecchi episodi sopra la media), nello stile di quelli che uscivano qualche anno fa e che per questo motivo potrà essere facilmente bollato come “nostalgico”, vetusto e superato; ma per chi ama queste sonorità e non teme queste definizioni, gli Statetrooper potranno riservare un bel po’ di “good vibrations”… la buona musica non è mai “fuori moda”…
Produce in modo competente ed equilibrato Michael Voss (Silver, Demon Drive, Bonfire e Casanova).

Recensione a cura di Marco Aimasso

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