IL GATTOOO, IL GATTOOO, IL GATTOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!Non sia mai che non inizi così una recensione dei
Sacred Steel, super band inossidabile che ormai dal lontano 1997 è sinonimo di sicurezza e qualità:
NO COMPROMISE, così potrebbe essere riassunta la proposta della band di
Gerrit Mutz, che sebbene alternando nel corso della propria carriera qualche cambio stilistico (gli episodi più anthemici e "power" dei primi due album, la svolta retrò classic di metà carriera e la sferzata violenta degli ultimi anni) hanno sempre fatto dell'heavy metal classico la loro ragione di vita.
Bel colpo della nostrana
Cruz del Sur quindi che si assicura l'ottavo studio album "
The Bloodshed Summoning" (dopo i primi 3 per
Metal Blade ed i successivi 4 per
Massacre), che ripercorre un po' la strada del vecchio "
Slaughter Prophecy" del 2002, il disco più pesante e violento della carriera dei Sacred Steel: in effetti, a fronte di poche concessioni disseminate qua e là (tipo "
When the Siren Calls", piuttosto melodica per gli standard della band), "The Bloodshed Summoning" risulta essere uno dei dischi più aggressivi della band di Ludwigsburg, dopo la parentesi più calma di "
Carnage Victory" (che ripescava il sound di "
Iron Blessings"...) e quella epica del mostruoso "
Hammer Of Destruction" del 2006, a nostro avviso il lavoro più riuscito e maestoso della loro discografia, purtroppo penalizzato da una produzione da denuncia.
Non è questo il caso dato che la produzione è davvero buona, e lo stesso si può dire della qualità totale del disco, che come al solito si attesta su livelli decisamente alti: chitarre ossessive e massicce, con ottimi spunti, ritmica letteralmente perfetta, ed un Mutz che ormai è il trademark di questa band, con il suo timbro vocale così carismatico e caratteristico, sebbene sempre meno "gatto", ovvero sempre meno acuti e voce stridula e sempre più voce roca e pesante: da una parte rende il tutto più "facile" da ascoltare e meno esposto a critiche e stupidi preconcetti, dall'altra ci spiace non godere a raffica delle sue urla, perlomeno da parte di chi come noi ha accettato e gode del suo modo di cantare da ormai più di 15 anni.
Quanto tempo è passato da "Metal Reigns Supreme", a riascoltare l'opener di "Reborn in Steel" appena dopo "The Bloodshed Summoning" sembra di parlare di due band diverse...ed invece son sempre loro.
Come sempre atmosfere evil, testi incazzati, un disco METAL dall'inizio alla fine, niente happy, niente gay, niente sugar metal qui: ennesimo centro dei
Sacred Steel, una band che sebbene non abbia mai sfondato nel circuito più commerciale merita davvero un monumento per la qualità e la dedizione mostrata sin dall'inizio della propria storia. Immortali.