Potrei chiedere in giro, leggere su internet, capire quanto altri recensori magari “illuminati” possono aver riconosciuto a questo album. Ma non lo farò. Perché questo 4 che regalo agli Adam Carpet è l’unico voto che mi viene in mente e non ho intenzione di cambiarlo.
Era dai tempi dei Timoria più nobili che non ascoltavo un disco di Diego Galeri, ho sempre apprezzato Alessandro Deidda delle Vibrazioni e non conoscevo gli altri musicisti coinvolti, ma le parole e la promozione intorno a questo disco mi avevano veramente incuriosito.
Ecco…ricordatemi di non incuriosirmi più.
Due batterie, due bassi e un synth, in un album quasi esclusivamente strumentale, che si basa essenzialmente sulla sperimentazione estrema, con decine e decine di suoni che si fondono, si mischiano, mentre cambiano tempi, colori, stili ed emozioni. Tutto bello, tutto fico…ma le canzoni dove sono? Dove sono le melodie riconoscibili, i pezzi da ricordare e tutto il resto che serve a tracciare i confini di un qualcosa che non trova definizione?
Dal vivo il senso di trovarsi di fronte a qualcosa di fruibile solo da alcuni soloni avvezzi a seguire qualsiasi cosa pur di fare gli alternativi a tutti i costi sarà ancora maggiore, visto che i nostri utilizzeranno il “mapping”, in modo da unire musica e immagini. Una cosa che, sinceramente, dopo l’esperienza del disco, non tengo a seguire, così come forzata mi sembra l’idea di lanciare il disco con confezione eco-sostenibile e seed card che contiene semi da piantare. Insomma, non so, forse sarebbe il caso di prendersi meno sul serio e di scendere dal piedistallo dell’artista del terzo millennio.
Mi spiace, ma questo progetto è veramente lontano da tutto ciò che speravo di sentire. Sarà il gusto, sarà quello che volete. A mio parere proprio non ci siamo.
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