Chi mi conosce lo sa, non son più carabiniere.
Ah no, questa era di qualcun altro..com'era la mia?
Ah si! Chi mi conosce lo sa, io sono un fanboy sfegatato di
Tobias Sammet, dei suoi Edguy e soprattutto del suo progetto
Avantasia. Lo sono fin dal primo ascolto della Metal Opera, doppio disco che ha cambiato radicalmente il corso della mia vita musicale.
Crescendo, col passare del tempo, il mio amore (platonico) nei confronti del buon Tobi è cresciuto esponenzialmente, prima con la scoperta degli Edguy e poi con il proseguo dell'avventura targata Avantasia. Allo stesso tempo però il mio senso critico è diventato più forte e le mie aspettative per ogni lavoro del biondo vocalist di Fulda sono andate aumentando sempre di più.
Ed è quindi con grandissima aspettativa quindi che mi sono avvicinato a "
The Mystery of Time", ultimo lavoro, in rigoroso ordine temporale, del supergruppo griffato Germania, dopo due ottimi lavori quali "Wicked Symphony" e "Angel of Babylon".
Le premesse, fin da principio, sono sempre state ottime: un'orchestra vera prima di tutto, la
Deutsches Filmorchester Babelsberg, cosa che nei dischi degli Avantasia era sempre mancata ma della quale Tobi aveva già fatto uso, con risultati eccellenti, su "Hellfire Club" dei suoi Edguy.
Rodney Matthews alla realizzazione della cover e del booklet, che per chi non lo conoscesse è un celebre disegnatore inglese specializzato nelle opere fantasy, che ha collaborato in più di un occasione con Bob Catley, il quale l'ha quindi caldamente sponsorizzato.
Il nuovo cast, che fin dai primi nomi annunciati sprizzava qualità da tutti i pori, cosa peraltro mai mancante nei lavori di Tobi. Vi dico solo i nomi, poi parleremo delle loro prestazioni:
Joe Lynn Turner, Michael Kiske, Biff Byford, Bob Catley, Eric Martin, Ronnie Atkins, Oliver Hartmann, Arjen Lucassen, Russell Gilbrook, Bruce Kulick. Mica male eh?
E insomma, quando le premesse sono queste, le aspettative non possono che essere alte, se non altissime. E' quindi con sommo gaudio che mi sono apprestato, in tutta comodità e tranquillità, all'ascolto dell'ultimo capolavoro targato Avantasia.
La storia narra di un giovane scienziato dell'età vittoriana che inizia a rendersi conto, spiacevolmente, di essere circondato da gente che vive le proprie vite perennemente di fretta. Il giovane decide quindi di indagare sul perchè di questo stile di vita così forsennato e procedendo nella sua indagine, da agnostico uomo di scienza qual'è, arriva a dover ammettere l’esistenza di un qualche tipo di entità superiore, da lui sempre negata.
Il disco inizia subito forte con "
Spectres" e la sensazione di essere tornati ai tempi di "Scarecrow" inizia subito a farsi pressante. Bene o male lo valuteremo alla fine, ma tanto per cominciare direi che è sicuramente un qualcosa di positivo, data qualità del disco in questione, sicuramente il migliore dopo la Metal Opera. E la canzone è davvero bella, adeguatamente cupa, con un Joe Lynn Turner in forma davvero smagliante, che duetta alla grande con lo scienziato Sammet.
E la successiva "
The Watchmakers' Dream", sempre con la coppia Tobi/Turner al microfono, è ancora più bella, fin da principio, nelle cui note si possono sentire chiari richiami agli Ayreon di cui Arjen Lucassen è padre e padrone. E Lucassen offre i suoi servigi chitarristici sulla traccia, non lesinando consigli sulle parti di tastiera.
"
Black Orchid" con l'immenso Biff Byford è invece la prima nota leggermente stonata del disco, a mio modo di vedere, sicuramente sufficiente ma non molto di più, esageratamente cadenzata e troppo poco ricercata a livello di songwriting.
Per fortuna a risollevare le sorti del disco arriva la canzone più bella del lotto, "
Where Clock Hands Freeze", canzone che conferma quanto vado dicendo ormai da anni: l'unico uomo al mondo capace di scrivere canzoni STUPENDE per Michael Kiske è Tobias Sammet. E questa non fa certo eccezione, anzi, rivelandosi addirittura una delle più belle mai realizzate dalla coppia d'assi tedesca. Alla faccia di chi dice che Kiske è cotto e che col power metal non c'azzecca più niente, il buon Michael sforna una prestazione perfetta, grazie alla sua ugola e grazie ad una canzone davvero meravigliosa, da far accapponare la pelle.
Può andare tutto bene? Macché! A far tornare il disco sui livelli dalla mera sufficienza arriva "
Sleepwalking" con la tanto odiata dal sottoscritto Cloudy Yang, che già aveva contribuito in maniera negativa su "Angel of Babylon". Ma dico io, hai a disposizione Amanda Somerville (e ce l'hai, non dico così per dire) e fai cantare Cloudy? Davvero non capisco. Come rovinare una canzone potenzialmente buona facendo cantare qualcuno di assolutamente non adatto. Per inciso, la canzone è stata scelta come primo singolo del disco, altra scelta decisamente opinabile, ma tant'è.
"Savior in the Clockwork" mi fa tornare il sorriso. Le sue ritmiche forsennate e la netta somiglianza con "Devil in the Belfry", canzone che adoro, nonché la contemporanea presenza di Turner, Byford e Kiske elevano i quasi 11 minuti di canzone a livello dell'eccellenza artistica, passo quantomeno necessario dopo il vuoto cosmico dei 4 minuti precedenti.
Ma il disco ormai ha abituato ai saliscendi e la successiva "
Invoke the Machine", pur con una prestazione ottima di Ronnie Atkins al microfono, risulta inferiore alla precedente. Buona canzone, sicuramente migliore dei bassi precedenti, ma dopo una bellezza rara era lecito aspettarsi qualcosina di più.
E il "di più" arriva con l'altissimo, a livello artistico, trittico finale: "
What's Left on Me" è la classica ballad del disco, nella quale Sammet e l'immenso Eric Martin duettano in maniera eccelsa, a tratti commovente. Se dico che se la gioca con "Farewell" significa che davvero ha colpito nel segno. "
Dweller in a Dream" invece è la seconda perla targata Kiske, meno incisiva e meno power della precedente ma comunque di un livello nettamente superiore alla media delle ultime produzioni del vocalist di Amburgo.
Discorso a parte merita la maestosa suite finale: "
The Great Mystery" sono praticamente 3 canzoni in una, nelle quali Turner, Sammet e Byford fanno da semplici chierichetti all'altare dell'officiante principale, quel Bob Catley per cui gli aggettivi si sono ormai sprecati nel corso degli anni. Prestazione MAIUSCOLA del vocalist inglese, che in 10 minuti annichilisce i suoi pur grandiosi compagni d'avventura. Una canzone sola per lui, ma che qualità.
E sull'ugola di Catley il disco esaurisce la sua componente musicale, ma quella emotiva rimane intatta ad aleggiare nell'aria. Ed è proprio questo il punto forte dei dischi degli Avantasia, una sensazione unica di maestosità che permane durante ogni canzone, anche in quelle meno belle, e che dona al disco una sensazione di continuità che è davvero difficile da riscontrare con questa costanza.
62 minuti di brividi alternati a qualche momento di stanca. 62 minuti in cui il concetto di opera metal è stato arricchito di capitoli quantomeno unici ed interessanti, nell'attesa della seconda parte (perchè ci sarà una seconda parte) dell'avventura del giovane scienziato. 62 minuti in cui per l'ennesima volta
Tobias Sammet ha dimostrato di essere un compositore eccezionale, forse il migliore al mondo. Pur risultando, a mio modo di vedere, globalmente inferiore ai dischi che l'hanno preceduto,
"The Mystery of Time" è un must-have per ogni fan del mastermind degli Edguy e per ogni amante della buona musica, quella suonata col cuore prima che con gli strumenti.
Quoth the Raven, Nevermore..