Tornano gli
Spock’s Beard, band che chiunque abbia una spolverata di nozioni in ambito progressive è obbligato non solo a conoscere, ma anche ad amare.
Un ritorno desiderato, sognato, voluto da tutti, che tuttavia vede una line-up nuovamente sconvolta dopo l’addio, qualche anno fa, da parte di
Neal Morse, che invece oggi torna in qualità di co-autore. I cambiamenti sono invece dietro le pelli, con l’arrivo di
Jimmy Keegan e dietro il microfono, con il bravo
Ted Leonard.
Devo essere sincero: pur amando
Nick D’Virgilio il cambiamento non è stato così traumatico e tutto sommato questo disco ci offre una band pienamente amalgamata, equilibrata, che non fa certo rimpiangere i fasti del passato. Quello che pesa è esclusivamente la mancanza di un Neal Morse impegnato al 100% con la band…ma d’altra parte dio anni fa gli chiese di dedicarsi ad altro e lui seguì l’imposizione divina…
Scelte mistiche a parte, immagino vi interessi sapere cosa può darvi questo album.
Ebbene, la risposta è abbastanza facile: un sacco di buona musica, ma senza esagerare.
Un disco che mostra, soprattutto in apertura, una certa grinta e vitalità, con i nuovi protagonisti subito in grande evidenza, mentre man mano che scorrono i brani i richiami con i trascorsi beardiani sono sicuramente più presenti.
Mirabolanti cambi di tempo, ampi momenti di rilassatezza, grande cura per le parti vocali, gli ingredienti che ci hanno fatto amare questi ragazzi ci sono tutti e non possono che rendere felici.
Tuttavia, man mano che gli ascolti passano la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un qualcosa che non è in grado di rimanerti nel cuore. È vero, spesso ci si sofferma a risentire qualche passaggio, a volerne “sapere di più”, ma questo è il pane per un disco prog, che se non suscitasse nulla di tutto ciò sarebbe gravemente insufficiente.
Ma soprattutto, come accennato in precedenza, la partecipazione del vecchio Neal come co-autore in due brani si rivela gravemente controproducente: i brani in questione (
Afterthoughts e
Waiting For Me) si staccano infatti fin troppo dal resto, facendo intendere che, se le cose nel tempo non fossero cambiate, la storia dei Beard e dei nostri orgasmi sonori sarebbe stata ben diversa.
In fin dei conti...direi sette e mezzo.
E attenzione: non è in valore assoluto, perché effettivamente la qualità cristallina di un disco come questo potrebbe anche meritare un paio di mezzi voti in più. È un 7,5 dato pensando a ciò che questa band è stata in grado di regalare in passato, come a ribadire una frase che tante volte i miei genitori si sono sentiti dire nei colloqui con gli insegnanti: “è bravo, fa ciò che deve fare, ma potrebbe dare molto di più”.