In pieno thrash revival, e più in generale in pieno revival anni ottanta, poteva mai il Canada, da sempre paese ricco di ottime metal band, non avere qualche nuova leva che partecipasse attivamente al rinnovamento della scena che tanto spopolò trent’anni fa? La risposta è ovviamente no, ed ecco che così un altro nome va ad affiancarsi a quelli emersi negli ultimi anni, e cioè i
Mortillery, direttamente da Edmonton, Alberta.
Autori due anni fa del loro debut album, “Murder death kill”, poi ristampato l’anno scorso dalla Napalm Records, sempre tramite la gloriosa etichetta pubblicano quest’anno il secondo capitolo della propria storia discografica, il qui presente “Origin of extinction”. Dando una prima ascoltata al lavoro, due sono le cose che emergono immediatamente: la prima è l’assoluta devozione dei nostri al tipico sound eigthies, quindi nessuna concessione a richiami moderni, né a livello compositivo, né a livello di registrazione, mentre la seconda è un leggero ammorbidimento della proposta, che diventa qui leggermente più ragionata, come se i nostri avessero deciso di tenere a freno la rabbia furibonda del primo lavoro.
La band sta crescendo, quindi, sta maturando, e pur senza perdere un’oncia di cattiveria, riesce a strutturare meglio i brani, a renderli più organici, a valorizzare meglio il lavoro svolto dai due chitarristi Alex Scott e Alex Gutierrez, sia in fase solista che a livello di riffing. E se è vero che non mancano episodi violentissimi come “F.O.A.D.” o la speed “The hunter liar”, è altrettanto vero che ci sono brani meno irruenti, “Cease To Exist”, per esempio, o l’opener “Battle march”, una sorta di lunga intro strumentale che fa salire a dismisura l’adrenalina e ti carica a puntino per affrontare l’ascolto delle rimanenti tracce.
Picchiano duro i Mortillery, ma soprattutto si percepisce che lo fanno con passione, non solo per seguire la moda attuale (mi viene l’orticaria ogni volta che devo usare la parola moda in una recensione metal, ma purtroppo ormai devo farmene una ragione…), e si danno molto da fare anche le due donzelle presenti in line up, la bassista Miranda Gladeau, e soprattutto la singer Cara McCutchen, una sorta di Doro Pesch dei bei tempi, magari un po’ più incazzata e urlante…
Basta questo per far emergere i Mortillery dalla massa? Ovviamente no, però è già qualcosa… Per il resto, siamo di fronte ad un buon platter, che convince e si lascia ascoltare, e che perlomeno in quanto ad attitudine, violenza e freschezza, riesce a distinguersi rispetto ai lavori di tante altre band dedite alla riscoperta di queste sonorità, ma di contro non possiamo certamente gridare al miracolo. I Mortillery sono dei buoni operai, che faranno senz’altro bene alla causa e riusciranno a smuovere più di qualche capoccia, ma dal paragone con i mostri sacri escono inevitabilmente con le ossa rotte. Di cammino davanti a loro ce n’è ancora parecchio, e sono sicuro che riusciranno a crescere ulteriormente e a distinguersi sempre più dalla massa. Per ora, però, devono accontentarsi di una sufficienza, pur se abbondante…
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