La lunga carriera dei norvegesi Aeternus è iniziata ormai due decenni fa (la band si è formata infatti nel 1993) e dopo aver passato una prima parte della carriera a suonare un buonissimo black metal, oscuro e ricco di influenze death, a partire dal terzo album
“Shadows Of Old” decisero di virare decisamente verso lidi più propriamente death, e seppur un po’ sospetto, l’esperimento riuscì. Uscirono così due ottimi album brutali, ispirati e massacranti come il già citato
“Shadows Of Old” e “Ascension Of Terror”
, ma a partire dal 2003, con
“A Darker Monument ” ,quando incredibilmente, e un po’ fuori luogo, iniziarono a voler etichettare la loro musica come “dark metal”, è iniziato un declino inaspettato che pensavo avesse raggiunto il culmine con il precedente
“HeXaeon” , invece a distanza di sette anni il peggio doveva ancora venire…Non riesco proprio a capire perché il gruppo di Ares abbia voluto infangare in questa maniera il nome di un gruppo, che pur non essendo mai stato tra i capostipite del genere, ha regalato comunque delle belle perle ai seguaci più attenti dell’estremo. Nonostante un riassestamento della line up, il nuovo
“…And The Seventh His Soul Detested ” prosegue là dove era terminato l’ignominoso
“HeXaeon” e se è possibile va ancora più in basso rasentando veramente il ridicolo e il pacchiano con dieci pezzi uno peggiore dell’altro. L’ispirazione è a minimi termini e l’elevata lunghezza dei pezzi, che è sempre stato un trade mark della band durante la loro carriera, in questo caso fa si che le carenze compositive vengano fuori ineluttabilmente. Molto spesso, infatti, si ha l’impressione che i riffs si susseguano un po’ a caso senza molta logica, ne è un esempio chiaro
“Ruin And Resurrect” , che dopo un inizio molto pacato e introspettivo, alla ricerca della giusta atmosfera sinistra, vira improvvisamente verso lidi più techno trash in maniera alquanto inaspettata e fuorviante. Altra scelta alquanto discutibile è quella di ricorrere a intermezzi acustici come in “Spurcitias” , un titolo una garanzia,
“The Hand That Severs The Bonds Of Creation” , o addirittura un brano interamente giocato su queste sonorità come
“Hubris" , senza che se ne senta veramente il bisogno o che se ne trovi la connessione logica con il resto dell’album. Durante l’ascolto mi è sembrato spesso di trovarmi di fronte agli
Unleashed meno ispirati, quelli di
“Warrior” per capirci, per semplicità e banalità ritmica. Ultimo appunto vai ai solos per lo più buttati li a caso senza molte pretese che finiscono per affossare dei brani già di per se non memorabili. La copia dell’album in mio possesso è quella arricchita da quattro bonus track, e questo è veramente il colpo di genio finale, infatti le songs in questione sono quelle che componevano l’ottimo Ep
“Dark Sorcery” , dove la band ad inizio carriera era di ben altra pasta rispetto alla brutta copia che ci tocca ascoltare oggi, e il paragone è talmente improponibile da sembrare un’ammissione di impotenza che segna, inconsciamente, la fine (probabile) di questa band.
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