Più forti della crisi economica, dell’uragano Sandy (che ha distrutto la casa di Louis Abramson, la quale fungeva anche da base operativa e da studio di registrazione della
band americana …) e della conseguente prostrazione cagionata da questa traumatica esperienza, i
Jolly tornano a deliziare l’umanità con la seconda parte della loro “audioguida alla felicità”, un manuale che, qualora fosse confermata la sua efficacia, meriterebbe di essere patrocinato dalle istituzioni, vista la sua potenziale funzione
sociale in tempi di profondo e diffuso sconforto.
Ebbene, “The audio guide to happiness – Part II” è una degnissima continuazione del suo entusiasmante predecessore (e di “Forty-six minutes, twelve seconds of music” …), ma ad essere completamente sinceri, al termine dell’ennesima attenta audizione, nei miei sensi serpeggia anche una tenue e subdola percezione “d’incompiutezza”, l’impressione che qualche rara sfocatura impedisca alle sensazioni di fluire copiose e costanti, disturbando il conseguimento di quell’autentico tripudio emotivo provato in passato.
Intendiamoci, siamo tuttora al cospetto di sublimi livelli di poesia, cultura e filosofia, abilmente frullate in un magma sonoro assai stimolante, carismatico e peculiare, eppure il gruppo sembra aver smarrito (appena) un pizzico d’ispirazione e di quella “magia” che rendeva immediatamente fruibili delle composizioni straordinariamente dinamiche e creative, capaci contemporaneamente di conservare quel senso d’inafferrabile che ti costringeva all’ascolto reiterato, per emozionarsi nuovamente in maniera immediata, cercando altresì di cogliere fino in fondo il loro animo proteiforme.
Probabilmente si tratta esclusivamente di un problema di “aspettative”,
inevitabile quando si tratta dei propri beniamini, oppure magari di un’
assuefazione ai fantomatici suoni
bineurali, da sempre singolare caratteristica della formula espositiva dei Jolly, mentre non ritengo che un lieve inasprimento (forse da interpretare come reazione ai dolorosi eventi sopra descritti …) dell’approccio espressivo possa avere determinanti responsabilità nella questione, anche perché gli strappi pulsanti e aggressivi di “Firewell” o le digressioni oltranziste del singolo "Dust nation bleak” (alla Meshuggah, come frequentemente rilevato … ma prive dell’effetto “emicrania” che mi procurano gli svedesi, aggiungo io …) sono adeguatamente inseriti in un tessuto connettivo che non contempla rigidi schematismi e conosce perfettamente la difficile arte dell’eclettismo e del “contrasto ragionato”.
Ed ecco che “You against the world” può in qualche modo ricordare lo stile senza confini di certi Faith No More, “Aqualand and the 7 suns” si schiude a coreografie visionarie e contemplative, “Lucky” sperimenta felicemente la fusione tra
nu-metal e
synth-pop (una “roba” tra Korn e Liquido …) e “While we slept in burning shades” rispolvera taluni bagliori
grunge e li immerge nella vaporosità policroma di un pezzo piuttosto suggestivo.
L’intensità seduttiva dell’irrequieta “Despite the shell” fornisce l’immagine vivida di una formazione dotata di enorme immaginazione, sfuggire alle spire inquietanti ed oniriche di "As heard on tape” è impresa ardua e "The grand utopia” rifulge di sprazzi di autentica genialità istrionesca, soggiogando con un’irresistibile miscela sonica melodrammatica e ampollosa, in grado di suscitare “invidie” anche da parte dei migliori Muse.
“
Congratulations you are now happy …” recita la voce narrante, a sancire la conclusione di un processo frastagliato, intrigante e coinvolgente …
beh, diciamo che, se non proprio il segreto per il raggiungimento della “felicità” (qualcuno ha detto che non è di questo mondo, del resto …), i Jolly ci hanno sicuramente rivelato un modo agevole per conquistare una forma importante di “benessere” … ascoltare la loro musica, una dimostrazione lampante di quanto possano essere appaganti i piaceri del
rock evoluto.
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