Gli
Integrity erano uno dei tanti gruppuscoli hardcore emersi alla fine degli ’80 dal più oscuro underground americano. Ma fin dall’esordio “Those who fear tomorrow” del 1991, la band di Cleveland ha mostrato di sapersi distinguere dal resto dei colleghi. Tutto ha sempre ruotato intorno alla personalità disturbata e disturbante del vocalist Dwid Hellion, uno capace di fondere Hc, metal, occultismo, noise, elettronica, follìa, violenza, terrorismo cristiano e quant’altro, tirandoci fuori una musica sempre gravida di brutalità ed atmosfere sinistre ma frutto di soluzioni molto diverse tra loro. E poi, uno che intitola un disco “Humanity is the devil” non può che essermi simpatico.
Nel 2010 c’è stato l’ennesimo ritorno sulle scene, con “The blackest curse”, ed ora esce per l’attiva label norvegese Indie Recordings un sette pollici con due brani, antipasto dell’album che uscirà verso Maggio.
Francamente ignoro se queste due tracce saranno incluse nel full-lenght, ma di una cosa sono certo: spaccano da paura!
In particolare “Black hesken rise” è un cadenzato monolito di angoscia straziante, circondato da atmosfera che non esito a definire “apocalittica”. Il ruggito malato, fuori controllo, di Dwid è da brividi lungo la spina dorsale, in contrasto con un chitarrismo dal tono quasi psichedelico. Più caotica e distorta “Waiting for the sun”, che inizia però come un pezzo di noise-doom per trasformarsi in un gorgo di urla, isteria, furore animalesco, dal quale emergono i brevi “clean solo” della chitarra. Assolutamente, splendidamente demente.
Della serie “più sono marci, bestiali, squinternati e perdenti, e più mi piacciono”, sono già impaziente di ascoltare l’imminente album degli Integrity, che i colleghi (sperando arrivi… nda) carinamente mi lasceranno recensire. O no?
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?