Prosegue l’evoluzione musicale dei losangelini
Intronaut, che pubblicano il nuovo lavoro a tre anni di distanza dall’ottimo “Valley of smoke”. Il loro è uno stile progressivo nell’accezione moderna del termine, quindi lontano da qualsiasi spirito revivalistico. Riff angolari, ritmiche spigolose, strutture mutevoli e trasversali, ed ancora, perché no, suoni che talvolta assumono taglio metal-industriale. Nello stesso tempo a tratti si respira un’atmosfera Barrett-tiana sotto la superficie del disco, vedi le rarefazioni psichedeliche di “The welding”, ed altrettanto si possono cogliere i richiami ai padrini del genere, siano essi i Neurosis, o i Mastodon, o i Baroness, o chi altri.
Ma la vera bravura degli Intronaut è quella di essere semplicemente sé stessi, senza voler sfruttare le solite frasi fatte.
Questo album è un ulteriore passo avanti rispetto al passato, perché i brani sono ancora più profondi, densi, curati, articolati, pur con una limpidezza estetica da far invidia, questa sì, ai grandi gruppi prog settantiani. Basta seguire le evoluzioni continue ed i controtempi di “Killing birds with stones” o “Steps”, ricche di dettagli raffinati e di commistioni tra asprezza post-metallica, psycho-groove, eleganti melodie rock e mood ombroso, per rendersi conto che dietro al lavoro c’è una ricerca d’intensità sonora tutt’altro che banale o scontata.
Eccellente la produzione che sottolinea le prove dei singoli, a partire dal timbro malinconico della voce di Dunable per arrivare al complesso drumming di Walker, altro poliedrico batterista di nuova generazione.
Un’opera dal fascino maturo, avvolgente, capace di regalare emozioni ad ogni nuovo ascolto con leggerezza e perfino soavità, senza peraltro rinunciare all’espressività della musica heavy. Titolo notevole e consigliatissimo.
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