Il bello di alcuni album sta nell'attesa, nell’aspettativa che riescono a generare, nella suggestione che qualcosa di veramente buono stia per uscire e, in ultima analisi, nelle promesse che riescono effettivamente a mantenere, punto, quest’ultimo, tanto più difficile quanto più alta è la posta che si è messa in gioco con le prime due variabili.
Con Pelagial i
The Ocean hanno posto la proverbiale asticella decisamente in alto, anticipando ormai da alcuni mesi la complessità tematica e la portata sperimentale dell’album, aprendo addirittura un bel sito web a tema dedicato solo ed esclusivamente alla presentazione-teaser della loro ultima fatica.
L’intenzione dei nostri è riproporre la sensazione di un viaggio attraverso il mondo oceanico, dal pelo dell’acqua, via via sempre più verso le profondità degli abissi, suggerendo le transizioni tra le diverse zone pelagiche tramite affini cambiamenti di intensità, potenza, dinamica e melodia nello snodarsi del disco. Il progetto è reso ancora più peculiare dalla sua originaria concezione, che lo voleva costituito da un’unica traccia strumentale e senza soluzione di continuità della durata di 50 e più minuti.
Per nostra fortuna entrambe le condizioni non si sono verificate; il frontman Loic Rossetti, reduce da un periodo di indisposizione, ha recuperato in tempo per arrangiare e registrare delle (eccellenti) parti vocali, mentre il progetto, pur non perdendo la propria logica fluida e organica, è stato suddiviso in tracce denominate a seconda della zona oceanica che rappresentano.
La piacevolissima sorpresa è che questi non sono solo buoni propositi o sparate arroganti, ma, una volta iniziato l’ascolto di Pelagial, ci si rende conto che a stavolta gli astri si sono davvero allineati in maniera ideale. Una produzione eccezionale (cortesia dei rinomati Fascination Street Studios) ci accompagna attraverso un'esperienza musicale che non solo mantiene i propositi della band, ma ci regala dei The Ocean in forma smagliante, che consegnano all’ascoltatore una performance stilistica, compositiva ed esecutiva da urlo (superlative le prestazioni , di nuovo, Rossetti e del batterista Luc Hess).
Il tessuto sonoro è complesso, fatto di melodie e temi che vengono ripresi con intensità variabili e citati nella stessa opera più volte, ma di facilissima e immediata assimilazione. È davvero facile rimanere affascinati dai richiami post metal (echi di Isis e primi Mastodon, soprattutto) che portano le idee sviluppate in Anthropocentric ed Heliocentric ad un livello superiore di espressività, così come risulta difficile non notare le svariate e variegate influenze che la band ha saputo miscelare con saggezza e gran gusto, regalando memorie di sound anni ’90 così come sfuriate al limite del death metal svedese vecchia scuola.
I cinquantatré minuti di Pelagial scorrono via che è un piacere, l’attenzione rimane sempre alta e non c’è un singolo momento di stanca lungo tutto l’album, decisamente un disco maturo, centrato, solido.
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