Anche in periodi di fascinazione per le “nuove” sonorità del
metal, così “prepotente” a ridosso del terzo millennio,
impossibile, almeno per i
musicofili meno modaioli e superficiali, non accorgersi della classe innata dei
Burning Rain, edificati da Doug Aldrich e da Ian Mayo dopo l’esperienza nei Bad Moon Rising di Kal Swan e figli “legittimi” di quell’avvincente esperienza musicale.
Alla gestione microfonica del gruppo, impegnato a non far rimpiangere l’abilità e il carisma dell’ex voce di Tytan e Lion (proprio con lo stesso Aldrich in formazione e propedeutici alle future manifestazioni artistiche dei nostri …), arriva Keith St. John, un passato nei Medicine Wheel di Mark Ferrari e un’ugola davvero strepitosa, in grado di “sopportare” sfide anche più impegnative, rappresentate da autentici “mostri” della fonazione modulata come David Coverdale e Ray Gillen.
Insomma, se amate i Whitesnake, i Led Zeppelin, i Badlands, i Blue Murder, gli stessi Bad Moon Rising dell’esordio, e pure un pizzico di “roba” più
classy alla Steelheart (da cui proviene il drummer Alex Makarovich, tra l’altro …) e Baton Rouge, il debutto omonimo di questi scintillanti e incontaminati
hard-rockers dovrebbe già far parte da qualche tempo della vostra preziosa collezione.
Tuttavia, qualora nel 1999 (nel caso dell’edizione giapponese su Pony Canyon, mentre la versione europea del
platter, licenziata dalla Z Records, è dell’anno successivo), foste stati troppo “immaturi” o “distratti” per accorgervi del suo valore, oggi, attraverso questa riedizione arricchita (da due pregevoli
bonus acustiche) della Frontiers potrete colmare una considerevole lacuna.
Il disco offre, infatti, tutto quello che un
fan del settore è solito “utilizzare” per il proprio quotidiano compiacimento
cardio-uditivo: la fisicità impellente di “Smooth locomotion”, “Fool no more” e “Can't cure the fire”, la virile sinuosità di “Superstar train” e “Jungle queen”, l’ardore
sibilante e
serpentesco di "Making my heart beat” e della
ballatona “Can't turn your back on love”, le scottanti scorie
funky di “Heaven's garden” e i fremiti di "Tokyo rising”, per finire con una “Seasons of autumn” degna dei migliori epigoni degli
Zeps e con una "Cherry grove” che sembra addirittura estrapolata dalle
sessions di “Houses of the holy” o di “Physical graffiti”.
“Burning rain” è un lavoro estremamente appassionante, utile altresì a chiunque voglia “ripassare” la storia di Doug Aldrich e capire i motivi che hanno indotto Coverdale a volerlo fortemente alla sua “corte” (e con le medesime caratteristiche e intenzioni arriva anche la ristampa del secondo “Pleasure to burn” …) e importante per cominciare a prepararsi adeguatamente al ritorno ufficiale della
band, pronta, con “Epic obsession”, all’ingarbugliata tenzone discografica dell’
A.D. 2013 … niente paura, affronteremo l’intera questione su queste stesse colonne molto presto … per ora …
buy it!
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